SaniTalk#6. Tutti i limiti del DM77, bello e impossibile

Passano i mesi e si smorzano gli entusiasmi sul DM77 e sul Pnrr. Non è solo questione di risorse che appaiono sempre meno sufficienti e tempi troppo stretti rispetto a quelli concreti di realizzazione dei progetti. A convincere meno sono anche gli obiettivi, che apparivano tanto belli sulla carta ma sempre più sfocati col passare dei mesi, tanto è che si è già pronti a rimettere le mani al famoso decreto. Ma cos’è che manca? Perché ogni idea apparentemente buona si scontra poi con ostacoli insormontabili? Di questo si è parlato nella sesta puntata di SaniTalk, il progetto realizzato da Sics Editore con il supporto di Alfasigma e condotto da Corrado De Rossi Re (Sics-Quotidiano Sanità), che ha visto protagonisti Francesco Zaffini, presidente Commissione Affari Sociali, Sanità, Lavoro pubblico e privato, Previdenza sociale del Senato; Francesco Saverio Mennini (presidente Sihta), Mattia Altini (presidente Simm e direttore di assistenza ospedaliera della Regione Emilia-Romagna), Gennaro Sosto (presidente Federsanità Anci Campania e DG Asl di Salerno), Antonio D’Urso (vicepresidente Fiaso e DG Ausl Toscana Sud Est), Gianfranco Finzi (presidente Anmdo), Gennaro Volpe (presidente Card e DG della Asl di Benevento) e Andrea Mandelli (presidente Fofi).

Per Francesco Saverio Mennini uno degli aspetti cruciali che non si è ancora mai voluto realmente affrontare riguarda il personale. Non è genericamente una questione numerica: “Nel confronto europeo sul numero di medici per abitanti siamo perfettamente nella media, eppure diciamo che mancano i medici”. La questione riguarda, piuttosto, la specificità delle singole categorie professionali, secondo il presidente della Sihta: “Occorre partire da un’analisi attenta, capire di cosa abbiamo bisogno per garantire i Lea e, sulla base di questo, elaborare una corretta programmazione. Non si fa che dirlo, ma non si è ancora fatto”.

Per Mennini occorre anche pensare a “una sorta di riforma di livello organizzativo del personale, per costruire modelli di collegamento tra reparti e strutture all’interno degli ospedali e poi sul territorio”. Quindi “percorsi di assistenza e presa in carico che vedano protagoniste tutte le figure professionali coinvolte nel processo di cura e assistenza”. Per il presidente della Sihta si potrebbe anche pensare di “abbandonare l’individuazione di figure apicali privilegiando un ragionamento basato su modelli concentrici, in cui tutto il personale, pur con diversi compiti, sia collegato e integrato, sullo stesso piano, insomma”.

 Per Gennaro Sosto una delle criticità più evidenti nell’immediato riguarda la capienza dei finanziamenti per la realizzazione Case di Comunità, Ospedali id Comunità e Cot. Ora che si passa dalle idee alla progettualità e alle procedure di gara per l’affidamento dei lavori, ha infatti spiegato il presidente Federsanità Anci Campania e DG Asl di Salerno, “ci si rende conto che le risorse ipotizzate in precedenza non sono più sufficienti a coprire le spese. Questo, forse, costringerà a una rimodulazione del programma iniziale”. Per Sosto sarà forse necessario rivedere lo standard 1 Casa di Comunità ogni 50mila abitanti, “perché in certe aree questo vuol dire aggregare 50 comuni. Non possiamo certo definirlo l’emblema della sanità di prossimità…”.

Il presidente di Federsanità Anci Campania confida invece sulla “grande opportunità” rappresentata dalla digitalizzazione anche allo scopo di elaborare una stratificazione della popolazione per livelli di rischio clinico. “Questo – ha spiegato – è la prima pietra su cui poggiare un nuovo modello di organizzazione di assistenza sanitaria territoriale e ospedaliera. Una volta posta quella pietra, bisognerà trovare una regola comune per declinare i servizi all’interno dei diversi territori. Un principio pratico ma anche morale”.

Antonio D’Urso ha posto invece l’attenzione sull’importanza di creare una “base culturale”. Ha orgogliosamente citato l’esempio virtuoso della Toscana, dove “non c’è un approccio di sanità territoriale ma un approccio di salute e di integrazione socio sanitaria. È questa la ricetta, è questo che fa la differenza”. Per il vicepresidente Fiaso, insomma, “se da anni si parla di territorio e di integrazione ospedale e territorio senza venirne a capo, è perché manca una cultura adeguata e si continua a pensare all’ospedale e al territorio come due realtà distinte quando invece si tratta di un solo sistema che, semplicemente, si occupa di due fasi diverse della malattia, uno acuta l’altro cronica”.

Questa consapevolezza è necessaria, secondo D’Urso, anche per dare ai professionisti le direttrici su cui costruire la multidisciplinarietà, l’integrazione e la continuità dell’assistenza. Una presa di coscienza che, per il vicepresidente della Fiaso, deve coinvolgere anche le comunità, a cominciare dai sindaci, che “devono entrare nella progettazione dei servizi”.

Concorda Mattia Altini, per il quale una delle criticità più evidenti riguarda proprio l’attuale incapacità di “connettere i professionisti”. In questo ambito occorre riflettere, secondo il presidente Simm, anche sulla grande diversità degli assetti contrattuali, che “non rendono possibile quella permeabilità di cui abbiamo bisogno e senza la quale la ‘grande bellezza’ del Dm77 rischia non portare a niente”.

Per Altini siamo di fronte a “grandi transizioni, di diverso tipo, in corso (demografica, professionali, organizzativa…)” che “devono essere governate e finanziate”. Poi ce ne è “una, in particolare, su cui bisogna lavorare fin dai primi anni di università, per una formazione adeguata alle nuove esigenze. Abbiamo bisogno – ha argomentato il presidente della Società italiana dei medici manager – di inserire nei corsi di laurea di Medicina e delle altre professioni sanitarie conoscenze di gestione del gruppo, dei conflitti, della digital health, della capacità di lavorare in team. Abbandonare, insomma, l’attuale il modello formativo che pensa ancora al medico solo nel proprio ambulatorio. Sono convinto – ha concluso Altini – che dentro l’agenda politica vada previsto un grande investimento, con le università, nella formazione dei nostri nuovi quadri dirigenti”.

Gianfranco Finzi ha voluto portare ulteriori elementi alla discussione evidenziando, ad esempio, come quella prevista dal DM77 sia una riforma monca se non si affianca a quanto previsto dal DM70 e se non si lavora congiuntamente alla ridefinizione di entrambi. Il presidente dell’Anmdo ha in realtà definito “anomalo” che si parli di riforma del DM77 “quando ancora non è stato neanche mai pienamente applicato”.

Finzi ha quindi sollevato il tema delle direzioni sanitarie, “perché è evidente che in tutto questo nuovo sistema, coloro che saranno a capo del management degli ospedali dovranno raccordarsi in qualche modo con la sanità territoriale per sviluppare tutto quello che è stato pensato per nuova organizzazione sanità. Ma di questo ancora nessuno sta parlando”.

Per Gennaro Volpe “la prima criticità del DM77 è rappresentata dalla necessità di ridurre la variabile organizzativa, definendo assetti chiari, anche dei distretti. Serve – ha detto – una definizione univoca della funzione del territorio e delle sue articolazioni, sia per lavorare meglio che anche per non allargare le disomogeneità di cui già soffre il nostro Ssn”.

Ad oggi invece, ha spiegato il presidente della Card, “i Distretti in Italia non hanno una distribuzione omogenea né funzioni omogenee. Neanche il DM 77 chiarisce cosa debba essere un Distretto e quale debba essere il suo ruolo. È questo che chiediamo al ministro – ha spiegato Volpe -. Chiediamo un Distretto forte, che sia luogo di prevenzione e presa in carico della cronicità attraverso la funzione di integrazione con il sociale e l’ospedale”.

Per la Card stesso passo fa compiuto nei confronti del direttore di Distretto, che “va in indentificato sulla base di requisiti precisi e competenze da acquisire attraverso di corsi di formazione specifica da sviluppare con le Università, creando, magari, anche un albo, cioè un elenco di idonei”. Infine Volpe ha sollecitato “un riconoscimento maggiore per la figura del direttore di Distretto”.

Impossibilitati a partecipare alla diretta, hanno però voluto portare il proprio contributo video a SaniTalk anche Francesco Zaffini, presidente della Commissione Affari Sociali, Sanità, Lavoro pubblico e privato, Previdenza sociale del Senato; e di Andrea Mandelli, presidente della Fofi, la Federazione nazionale degli Ordini dei farmacisti.

Circa le preoccupazioni sull’inadeguatezza delle risorse, che peraltro “finanziano il contenitore ma non il contenuto”, e circa la difficoltà di rispettare le scadenze, Francesco Zaffini ha ricordato che io timori era già stati fatti presenti ai precedenti governi. “Tuttavia – ha spiegato – occorre tenere conto che il Pnrr è una fonte di finanziamento spot che agisce sul versante degli investimenti ed è normale, dunque, che non finanzi il personale, esseno quest’ultimo un costo di gestione”. Quanto ai tempi, “abbiamo aperto un’interlocuzione con la Commissione Europea che speriamo porti buone notizie. Riteniamo, infatti, che fin dall’inizio si sarebbe dovuto tenere conto del quadro italiano, che ha un sistema di regole amministrativo-contabili notoriamente appesantite da passaggi burocratici. Queste rallentano inevitabilmente le procedure e rendono difficile rispettare scadenze così strette, come era immaginabile fin dall’inizio”.

Quanto alle case di comunità, il presidente della commissione Salute di Palazzo Madama ha evidenziato come esse siano “una ri-articolazione delle vecchie Case della Salute volute dall’allora ministro Livia Turco, che abbiamo cercato di strutturare per tre volte ma sempre fallendo a causa della difficoltà a convincere il personale a lavorare in quelle sedi, ad iniziare dai medici di medicina generale”. Per Zaffini bisogna quindi porre delle base per non fallire di nuovo, “capire come strutturare il rapporto contrattuale della medicina generale affinché i medici siano incentivati ad andare nelle Case di Comunità”.

L’obiettivo è quello di “una riforma di sistema che guardi anzitutto ai medici di medicina generale” perché “sono il fronte del nostro Ssn”. Una riforma che “atterrà alla fase contrattuale e alla formazione”, perché “il medico di medicina generale, per il ruolo importante che svolge sul territorio, deve essere il medico più bravo e preparato di tutti”, ha detto Zaffini. “La sua formazione è essenziale, perché è lui l’asse intorno al quale costruire il Ssn”. Per il presidente della commissione Salute del Senato questo significa “avvicinare più possibile il sistema formativo del medico a un modello di specializzazione”. E poi “investire sugli infermieri e gli oss, perché abbiamo bisogno che tutte le figure professionali crescano di livello”.

“Siamo consapevoli che la salute è una materia complessa ma anche importante”, ha concluso Zaffini. “Per questo lavoreremo intensamente, cercando la maggiore convergenza politica possibile, convinti che la salute non debba e non possa essere un luogo di scontro politico”.

Critico ma ottimista Andrea Mandelli. “Il DM77 dovrebbe rappresentare un punto di svolta per l’organizzazione sanitaria, recependo le lezioni derivanti dal Covid allo scopo non solo di riprogrammare l’assistenza territoriale, che sicuramente ha bisogno di figure professionali che siano in grado intersecarsi, ma anche portando a compimento quell’integrazione ospedale e territorio di cui da tempo si parla”.

Per Mandelli la farmacia dei servizi ben si sposa con la missione di costruire una sanità di prossimità, “credo che in questi anni la farmacia lo abbia già dimostrato e in parte realizzato”.

Il discorso sul Pnrr per il presidente della Fofi “è più complicato”, anzitutto perché bisogna considerare che “i soldi che ci dà l’Europa se da una parte rappresentano un’occasione straordinaria, dall’altra sono un macigno sul nostro futuro, visto che gran parte di quei soldi andranno restituiti”. Si tratta quindi, ha chiarito Mandelli, “di un investimento che dovrà dare una risposta anche economica al Paese”. “Io – ha proseguito Mandelli – credo che non debba essere un tabù parlare di economia in sanità, di risparmi e appropriatezza. Ne vale la sostenibilità del sistema e quindi la possibilità di continuare ad erogare le prestazioni. Ne vale il futuro dei nostri figli, perché se la riforma non funziona, rischiamo solo di lasciare un debito enorme alle generazioni future”.

Anche dal presidente della Fofi, infine, un richiamo a “una Italia che viaggi alla stessa velocità” e a una convergenza di intenti, perché “la partita o si vince insieme o la perdiamo tutti”.

Lucia Conti

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