SaniTalk #5. “L’etica della digitalizzazione” per non tradire il diritto alla Salute

Da anni se ne parla, ma ora l’Italia tutta deve compiere l’ultimo passo che conduce all’era della sanità digitale. Deve farlo, però, consapevole che la digitalizzazione non è il traguardo, bensì uno strumento a servizio dell’obiettivo, che nel caso del Ssn è il diritto alla Salute, equo e universale. Per questo dall’ultima puntata di SaniTalk è emersa la necessità di una riflessione che ponga le basi per un’etica della digitalizzazione. Ospiti della puntata Petralia (Fiaso), Sosto (Fedesanità Anci Campania), Sensi (Dg Asl Sassari), Claus (Card Trentino), Blandi (Anmdo).

Big Data, nuove tecnologie, Intelligenza artificiale… le potenzialità della digitalizzazione applicata ai servizi sanitari sono pressoché infinite. Ma stiamo correndo il rischio di una crisi di identità (digitale) della sanità e dei professionisti di domani? Se il PNRR, sia nella Missione 6 sia nella Missione 5, prevede cospicui investimenti nel Digital applicato al mondo sanitario l’impressione è che il sistema stia faticando, e non poco, a trovare la quadra di una rivoluzione che, sebbene annunciata e indispensabile, non riesce ancora a trovare sostanziale uniformità a livello nazionale. Cosa manca, dunque?

La risposta hanno provato a darla gli ospiti della quinta puntata di SaniTalk, il progetto realizzato da Sics Editore con il supporto di Alfasigma e condotto da Corrado De Rossi Re (Sics-Quotidiano Sanità), che il 31 maggio ha visto protagonisti Paolo Petralia (vice presidente Fiaso), Gennaro Sosto (presidente Federsanità Anci Campania), Flavio Sensi (direttore generale Asl Sassari), Mirko Claus (Apss Trento e Card Trentino), Lorenzo Blandi (segreteria scientifica Anmdo).

 

 

Paolo Petralia non ha dubbi: la prima cosa da fare è aprire una discussione per una nuova “etica della digitalizzazione” che guidi questo cambiamento epocale: “Con il tecno-umanesimo – ha detto – è stato chiarito come la tecnologia non debba tradire i valori fondanti della comunità umana, primo tra tutti l’equità. Questo è un rischio da cui dobbiamo preservarci, perché significherebbe tradire il Servizio sanitario nazionale e la Costituzione stessa, che all’art. 32 parla di diritto alla cura”.

Per il vice presidente della Fiaso va quindi evitato di abbassare la guardia: “Il rischio è il sottovalutare le conseguenze a cui il progresso, passo dopo passo, può portare, cioè a una retrocessione di diritti che pensiamo acquisiti ma che vanno difesi, per evitare che vadano perduti”.

Per Petralia il nostro Paese “ha dato prova, con la pandemia da Covid-19, di sapere affrontare l’ignoto con grande resilienza” ed è quindi in grado di “costituire un paradigma etico che sia la stella polare in questi cambiamenti. La digitalizzazione deve essere umana, prima ancora che tecnologica”, ha concluso Petralia.

Parole condivise da Gennaro Sosto, che ha evidenziato come “la telemedicina e la digitalizzazione siano strumenti a servizio dell’uomo e non l’obiettivo o la soluzione ai problemi”. Per questo, secondo Sosto, “dovremo pensare anche alla riorganizzazione dei servizi”, elemento che non può prescindere da “una formazione dedicata che, insieme ai nuovi modelli organizzativi, ci aiuti ad approcciare in maniera diversa i problemi del Ssn, in primis quello della sostenibilità”. Sfida per la quale, ha evidenziato il presidente Federsanità Anci Campania, “la tecnologia può essere risorsa in grado di garantire, oltre alla sostenibilità, anche una maggiore equità di accesso alle cure”.

La digitalizzazione, avvicinando i cittadini ai servizi anche quando sono separati da grandi distanze, può servire, secondo Sosto, anche a “contrastare lo spopolamento dei nostri territori che oggi caratterizza le aree più periferiche del Paese”. Questo, ha ribadito, “richiede tuttavia di ripensare i modelli organizzativi e gestionali, al fine di rendere migliore l’accesso alle cure e la gestione della sanità anche nelle sedi periferiche”.

Per Flavio Sensi, d’altra parte, “l’integrazione tra la professione medica e sanitaria e la sua applicazione alla sanità digitale non è altro che evoluzione naturale della sanità stessa. A pensarci bene, non ha neanche più senso parlare di telemedicina e sanità digitale, perché la medicina ‘tele’ e la sanità ‘digitale’ sono già una realtà nella gran parte dei presidi. Bisogna, tuttavia, assicurare ai professionisti le condizioni per potere utilizzare questi strumenti nella quotidianità”. Il Dg dell’Asl di Sassari ha quindi parlato della necessità di “una regolamentazione a livello ministeriale, almeno per le prestazioni con volumi di erogazione importanti. È necessario anche avere un riferimento per le tariffe, così da sapere come remunerare una prestazione da remoto rispetto a quella erogata in presenza. Sarebbe molto importante per le aziende”.

Per Sensi sarebbe anche opportuno dare al sistema “una visione unitaria a livello nazionale, perché molto spesso esistono troppe differenze tra Regioni sia in termini di bisogni che di mission”.

 Mirko Claus ha quindi portato al confronto il punto di vista dei distretti dove, “quanto finora evidenziato, raggiunge il suo acme, sia per l’attenzione che gli viene oggi rivolta ma anche per le aspettative che i cittadini e i pazienti ripongono in questo nuovo modello di sanità. Gli strumenti digitali, infatti, da una parte diventano la porta di accesso ai servizi, sia sanitari che sociali; dall’altra la digitalizzazione, con il fascicolo sanitario elettronico, dovrebbe consentire di migliorare i servizi in maniera determinante. Di garantire ai cittadini il diritto alla salute in modo equo, secondo un modello di presa in carico multidisciplinare anche nelle aree più remote”.

Per Claus, allora, “non si tratta più di parlare di cosa la digitalizzazione può fare, ma di mettere intorno a un tavolo l ministero, le aziende sanitarie, tutti gli attori sanitari o sociali, pubblici e privati, per percorrere l’ultimo miglio che ci separa da questo nuovo modello di sanità, guidando il cambiamento e non rimanendo in balìa di esso”.

Dello stesso parere Lorenzo Blandi, secondo il quale “oggi abbiamo le tecnologie digitali e i finanziamenti ma manca ancora il fattore umano” inteso non solo come “tecnici e politici con capacità di governance” ma anche di “personale sanitario” in grado di gestire poi sul campo questi nuovi modelli.

Serve però e anzitutto, anche secondo il componente della segreteria scientifica Anmdo, “un quadro normativo e un meccanismo di finanziamento chiaro e adeguato su cui far viaggiare questi modelli” che, ha evidenziato Blandi, “offrono, ad esempio dal punto di vista di sanità pubblica, opportunità importantissime per curare milioni di persone alla volta attraverso la stratificazione e la medicina di iniziativa e predittiva. Tuttavia, alcune Regioni che avevano dato vita a iniziative di questo tipo, sono state bloccate per motivi legati alla privacy”.

E poi, come accennato, c’è il tema della formazione del personale, perché, come ha osservato Gennaro Sosto, “tutti saremo chiamati ad acquisire la capacità di gestire i nuovi sistemi di interoperabilità che andranno ad alimentare il fascicolo sanitario elettronico”. Questo, per il presidente di Federsanità Anci Campania, richiederà “uno sforzo in ambito universitario, che deve pensare a creare professionisti con capacità digitali, ma anche in ambito extrauniversitario, dal momento che molti professionisti sono già sul campo”.

La formazione, per Paolo Petralia, è “il driver dell’innovazione”, ma “non si tratta solo di una formazione accademica, ancor prima serve una formazione culturale, che consenta di superare i modelli organizzativi tradizionali ripensandoli in maniera digitale”. E’ una sfida culturale “ma anche sociale” perché “consentirà di migliorare l’accesso ai servizi e dunque il benessere della comunità. Quindi una sfida per i manager e gli operatori ma anche per i cittadini”, ha concluso il vice presidente Fiaso.

L’Italia, ha convenuto Flavio Sensi, “è fatta di piccoli comuni e questo modello che può portare benefici importantissimi alle piccole comunità. Per questo, in Sardegna, abbiamo dato vita agli ambulatori di prossimità, dove lavora il personale infermieristico ma in stretto collegamento con i medici di medicina generale, le Asl e i centri Hub. Un cerchio che si chiude e che copre le distanze”.

Per Mirko Claus la formazione è importante anche per “restituire al professionista e al cittadino il significato di quello che fanno e del sistema di cui fanno parte. Se metteremo al centro il valore che riusciamo a generare con il nostro agire, sapremo spazzare via le resistenze e i pregiudizi, le difficoltà e le barriere, facendo comprendere come la digitalizzazione sia una grande opportunità”.

Lo sa bene anche Lorenzo Blandi, secondo il quale le parole d’ordine sono “framework legislativo e meccanismi finanziari, ma anche formazione e supporto agli operatori sanitari”. E poi “competenze etiche che permettano da una parte di comprendere bene le implicazioni etiche dell’utilizzo delle tecnologie ma anche superare le resistenze comprendendo che le macchine non sostituiranno l’uomo, ma andranno a implementare le sue competenze e capacità”.

Lucia Conti

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