La pandemia di covid si è abbattuta su un sistema sanitario già fortemente colpito dai tagli e caratterizzato da processi di riorganizzazione non ovunque portati a compimento. Il Ssn ha mostrato, di fronte a un’emergenza che ha investito una quota di popolazione enorme, tutte le sue fragilità, soprattutto sul fronte della sanità territoriale, fondamentale per gestire e contenere l’emergenza, ma del tutto impreparata a farlo. Il coronavirus ha però rappresentato una spinta incredibile allo sviluppo del sistema. Non solo perché ha imposto l’investimento di risorse che altrimenti non sarebbero mai state messe in campo, ma soprattutto perché ha posto chiaramente davanti agli occhi di tutti, decisori in primis, un gran numero di progetti da realizzare e di soluzioni da trovare. Distogliere lo sguardo e far finta di nulla, stavolta, era impossibile. Intanto il contesto in cui il management era costretto a prendere decisioni cambiava, e lo faceva rapidamente, con l’evolversi dell’epidemia: prima alta, bassa, media e poi nuovamente alta incidenza del Covid-19.
Il Rapporto OASI 2020, elaborato dai ricercatori del Cergas SDA Bocconi coordinati da Francesco Longo e Alberto Ricci, compie lo stesso processo. Guarda la sanità come era prima del covid, analizza poi le grandi fratture create dall’improvvisa emergenza e accende i riflettori sulle lezioni apprese, dalle quali creare l’agenda delle priorità per il futuro delle politiche sanitarie del paese.
Il Rapporto sarà presentato ufficialmente domani, 1° dicembre, nel corso di un webinar che prevede gli interventi, tra gli altri, di Marco Trivelli (Regione Lombardia), Paola Bardasi (AOU Ferrara), Domenico Mantoan (Agenas), Stefano Lorusso (Ministero della Salute) e Gianfelice Rocca (Confindustria). Un volume corposo, di cui anticipiamo, con questo articolo, le osservazioni principali.
LE DINAMICHE CONSOLIDATE DEL SSN DAL 2008 AL 2020
Il periodo intercorso tra la crisi finanziaria del 2008 e la pandemia del 2020 ha visto il Ssn appiattirsi sotto un endemico sotto- finanziamento, con la lenta e progressiva erosione del tasso di copertura pubblica (scesa al 74% del totale spesa sanitaria nel 2019) e con l’aumento dell’incidenza della spesa privata (26%), in gran part out-of pocket. In parallelo, sono aumentati i servizi esternalizzati (lavanolo, pulizie, mensa, assistenza alla persona).
Si consolidavano, nel frattempo, logiche di razionamento della spesa su personale, beni e servizi, farmaci, medical device, prestazioni da privato accreditato ecc. Tetti per silos di spesa che hanno favorito un progressivo processo di accentramento della funzione di indirizzo e controllo finanziario del SSN a favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze e delle capogruppo regionali.
A caratterizzare il decennio passato anche la sostanziale convergenza finanziaria delle regioni verso il pareggio tra spesa e finanziamento sanitario. Ma nel frattempo i divari nord-sud e urban-rural per aspettativa di vita, aspettativa di vita in buona salute, livelli di output e outcome sono rimasti sostanziali e in alcuni casi sono addirittura cresciuti. “Il livello di garanzia dei LEA da parte delle regioni in piano di rientro è migliorato, ma purtroppo si è ulteriormente amplificata la distanza dalle altre regioni, in un percorso stabilmente divergente”, osservano i ricercatori.
Blocco delle assunzioni, cresce l’età dei professionisti della salute
L’equilibrio di bilancio ha portato anche a nuove dinamiche del mondo del lavoro. Non stupisce, allora, che negli ultimi 10 anni ci sia stata una costante crescita dell’età media dei dipendenti del SSN: ha più di 55 anni almeno il 50% dei medici e il 21% degli infermieri. “Questo – osservano i ricercatori – ha determinato elevati tassi di burn out e massicce richieste di permessi ex L.104/92”.
Tutto questo a causa del blocco del turn over. L’età media si è dunque alzata anche per il minor inserimento di forza lavoro giovane nei sistemi sanitari. “Il calcolo dei fabbisogni di personale a tutt’oggi viene prevalentemente effettuato prendendo a riferimento i modelli organizzativi del passato, che continuano a trainare la programmazione futura. Questo porta a sottovalutare il cambio epidemiologico e dei bisogni (più cronicità e meno pazienti acuti), le trasformazioni tecnologiche ed erogative (molti processi diagnostici e terapeutici possono essere automatizzati), la crescita delle competenze e l’upgrading delle professioni sanitarie, costituite in crescente percentuale da personale laureato”.
Taglio dei posti letto, ma la sanità territoriale stenta a decollare
Dal punto di vista dell’organizzazione dell’assistenza si è assistito, invece, alla progressiva concentrazione della casistica ospedaliera, che ha comportato anche un miglioramento degli esiti per le procedure e le specializzazioni medico-chirurgiche trattate nell’ospedale per acuti. Il processo di concentrazione dei volumi ospedalieri è stato più marcato nel nord e nel centro del Paese, dove è emersa una presenza robusta di hub ospedalieri, nelle diverse configurazioni istituzionali: grandi strutture delle ASL, AO, AOU e IRCCS pubblici e privati accreditati.
Il numero dei posti letto ospedalieri si è andato intanto progressivamente a ridurre fino a diventare, secondo i ricercatori della Bocconi, difficilmente riducibile ancora. Rimane, tuttavia, nel Paese, una quota rilevante di piccoli ospedali con pronto soccorso sotto i cento posti letto. Si tratta di 115 strutture, senza contare i presidi in zone rurali e isolate, diffuse equamente in tutto il Paese, spesso lontane da ogni livello minimo di casistica e di clinical competence.
Intanto rimaneva in gran parte incompiuto il tentativo di costruire modelli di gestione della cronicità efficienti. Questo anche a causa della mancanza di elementi per realizzarli. Se è vero, infatti, che l’assistenza andrebbe trasferita in buona parte sul territorio, è anche vero che tale trasformazione richiede, insieme a un progetto, anche le giuste componenti per realizzarlo. Il modello di gestione delle cronicità, rilevano i ricercatori della Bocconi, “impone la costruzione di logiche di gestione per processi orizzontali e favorisce l’adozione di logiche di medicina di iniziativa dopo attente analisi di stratificazione dei pazienti”. E su questo versante, “non si intravvede ancora una convergenza modellistica, né, purtroppo, una dinamica di accumulazione di know how e di sistematizzazione degli approcci a livello di SSN, capace di attivare processi diffusi di cambiamento e crescita delle competenze cliniche e gestionali”. Un dato su tutti: secondo stime recenti, spiega il Rapporto, “solo il 47% dei MMG ha aderito a una medicina di gruppo”.
LE FRATTURE DI POLICY E NELLE STRATEGIE DELLE AZIENDE GENERATE DAL COVID-19
A portare scompiglio in questa impasse è arrivata, lo scorso febbraio, l’emergenza Covid-19. La pandemia, che è abbattuta sull’Italia come un ciclone, ha inevitabilmente generato delle discontinuità radicali (quelle che nel Rapporto vengono chiamate “fratture”) in alcune dinamiche consolidate nel SSN.
Per la sanità si torna a spendere. Ma come?
In primo luogo, per la prima volta dopo 10 anni il SSN ha aumentato significativamente la propria spesa corrente: per il 2020 si stima un aumento di oltre 5 miliardi, pari al +4,7% della spesa totale. Comprensibilmente, e improvvisamente, sono state abbandonate le politiche di austerity, rimettendo al centro dell’agenda politica del Paese il SSN. Tuttavia, chiariscono i ricercatori della Bocconi, “le nuove risorse non sono state ricavate ribaltando i precedenti trade-off di politica pubblica che avevano sfavorito il SSN rispetto ad altri interventi come riduzioni dell’imposta sulla prima casa o Quota 100; è stato semplicemente aumentato il debito pubblico”. Il che si traduce in un quadro di incertezza sull’ammontare e sulla stabilità dell’aumento della spesa pubblica per il SSN di medio periodo, perché l’aumento di finanziamento di parte corrente non potrà essere finanziato stabilmente con un incremento del deficit statale.
Inoltre, l’aumento della spesa è avvenuto utilizzando tre silos distinti di risorse: aumenti al fondo ordinario del SSN, finanziamenti per l’emergenza attraverso la Protezione Civile e fondi a disposizione del Commissario per l’emergenza. “I diversi silos – secondo i ricercatori – non hanno logiche e metriche di finanziamento omogenee: il FSN è allocato per quota capitaria pesata, dunque con un criterio di attribuzione ex ante rispetto al momento della spesa; i contributi Covid si distribuiscono con logiche di rimborso a piè di lista degli input acquisiti, rendicontati ex post rispetto all’esborso. Questa disomogeneità nelle metriche contabili e di riparto ha impedito in prima battuta alle regioni di avere chiarezza sulle risorse disponibili, generando differenze di comportamenti, determinate sia dalle abilità contabili, sia dal coraggio istituzionale di essere imprenditoriali rispetto a risorse il cui rimborso era stato promesso ex post, alla presentazione dei giustificativi di spesa”. In questa indeterminatezza, dunque, è stata l’imprenditorialità istituzionale presente nelle diverse regioni che, secondo i rceircatori, ha fatto la differenza.
Nuove assunzioni. Ma la programmazione?
Oltre a un aumento dei finanziamenti, il covid ha richiesto con urgenza l’avvio di massicce campagne di reclutamento di personale medico e delle professioni sanitarie. Il Ministero della Salute ha rendicontato oltre 36.000 unità di personale sanitario assunte tra marzo e ottobre, delle quali la metà a tempo indeterminato. In questo modo, il SSN avrebbe recuperato circa i tre quarti del personale perso dal 2009. Tuttavia, osservano i ricercatori, questa opportunità è stata sfruttata facendo prevalere “logiche di emergenza, che fisiologicamente tendono ad essere path dependent rispetto piante organiche storicamente presenti, con l’eccezione delle figure professionali strettamente collegate alla pandemia. In sintesi, al momento, il Covid-19 ha proiettato nel futuro il SSN riproponendo modelli di servizio e di suddivisione dei ruoli professionali sostanzialmente immutati, senza incorporare i mutamenti epidemiologici, tecnologici e di mix di competenze già stratificatesi e attesi per i prossimi anni”.
Decisioni rapide, ma più partecipate
La terza frattura riguarda la cultura di governo del SSN. Quest’ultimo, spiegano il ricercatori, è stato governato per alcuni mesi con una cultura organizzativa mission driven, guidata dal senso di urgenza del raggiungimento delle finalità istituzionali. “La rapidità decisionale, e quindi l’inevitabile accentramento del processo di adozione delle scelte, non è andata a discapito della collegialità interna ed esterna, ma, al contrario, ne è stato il naturale complemento”. Questo perché molte aziende pubbliche e realtà private accreditate avrebbero attivato dei veri e propri comitati di crisi, a cui partecipavano le diverse professionalità ritenute necessarie, da quelle epidemiologiche a quelle cliniche, dagli esperti di logistica a quelli di ICT, coinvolgendo il top management e i profili professionali più carismatici delle organizzazioni. “Il confronto collegiale interno ed esterno ha permesso al vertice strategico di decidere in modo più informato, consapevole, ma anche tempestivo, avendo già concertato con gli stakeholder più rilevanti i contenuti delle scelte”.
Inoltre, “in molti casi, la snellezza amministrativa e procedurale non è stata perseguita forzando o contravvenendo le norme amministrative, ma scegliendo quelle che garantissero l’immediato e più efficace risultato”.
Gli assetti scoprono di potere essere flessibili e dinamici
Durante la prima ondata del Covid si è assistito anche ad un altro fenomeno nelle regioni più colpite: la geografia dei servizi, che di norma si evolve lentamente e linearmente, è stata radicalmente trasformata nel giro di poche settimane. A inizio aprile, in Lombardia, la regione più colpita dal virus, il 42% dei posti letto acuti era destinato ai pazienti Covid; a livello nazionale il dato era poco inferiore al 20%. La rete è poi stata riadattata al periodo di bassa circolazione del virus nei mesi estivi e ritrasformata per prendere in carico i pazienti Covid a ottobre, con assetti più flessibili e dinamici, diversi dai precedenti. Con la pandemia, insomma, il SSN ha imparato a trasformare un reparto da una specialità all’altra in poco tempo, a riutilizzare come terapie intensive le sale operatorie, a suddividere i percorsi dei pazienti tra sporco e pulito in poco tempo, ad attivare le ricette dematerializzate, a spostare in digitale alcune visite specialistiche.” Questa capacità di riorientare i servizi in poco tempo, purtroppo vissuta in un contesto drammatico e a costo di enormi sforzi del personale del SSN, è una grande risorsa che il sistema ha mostrato di possedere”, osservano i ricercatori della Bocconi.
I professionisti superano gli steccati disciplinari
E poi, “nei frangenti più drammatici dell’emergenza, molti professionisti hanno superato gli steccati disciplinari e lavorato in team multidisciplinari, in reparti e setting diversi da quelli abituali, dimostrando senso di servizio, flessibilità, capacità di apprendimento e di adattamento”. Per i ricercatori l’aspetto più interessante è l’analisi del driver che ha garantito questa disponibilità dei professionisti, che non è stata legata agli incentivi economici benché alla volontà di dare compimento alla propria missione professionale e a quella aziendale in risposta alla pandemia”. Un aspetto importante per i ricercatori, visto che il lavoro sulla motivazione intrinseca “era uscito da troppi anni dalle coordinate culturali della gestione dei professionisti” da parte delle aziende.
La digitalizzazione accelera
A ricevere una spinta sorprendente, durante la pandemia, anche il percorso di digitalizzazione del SSN. “Si tratta di esperienze vissute in modo diffuso, che hanno attivato un processo probabilmente irreversibile di trasformazione dei servizi, anche se a oggi sono avvenute al di fuori di un quadro strategico di sviluppo, sia a livello di singole aziende, sia a livello di SSN”. Un patrimonio da non disperdere ma, piuttosto, da sistematizzare, valutandone il rapporto costo-efficacia, strutturando tutte le forme più convincenti in modo permanente e cambiando, di conseguenza, i correlati modelli di servizio e di lavoro professionale.
Ora tutti sanno che la prevenzione è davvero la prima arma
È infine diventato patrimonio collettivo la consapevolezza che il SSN ha bisogno di strutturare meglio i servizi di prevenzione, di tracing (quindi i big data sui cittadini sia per la programmazione, sia per la clinica) e i servizi territoriali in genere. “E’ forse una delle prime volte nella storia del SSN in cui la collettività invoca più servizi territoriali, prima ancora che più posti letto ospedalieri”, osservano i ricercatori della Bocconi.
Autonomia manageriale. Occorre intervenire
Oltre alle priorità strategiche fin qui discusse, secondo i ricercatori della Bocconi appare urgente riflettere sulle criticità che durante la crisi hanno riguardato la governance del sistema: “La scarsa nitidezza delle responsabilità, dei meccanismi decisionali e degli strumenti di coordinamento tra le istituzioni. La pandemia, secondo i ricercatori, ha fatto emergere la necessità di “definire con maggiore chiarezza e ragionevolezza i poteri, le responsabilità e le tutele dei manager del SSN, sulla scorta di opportune modifiche legislative”.
“All’interno di questa cornice, e in un quadro culturale e mediatico meno propenso alla colpevolizzazione del management – si legge nel Rapporto -, potranno essere il SSN e le regioni a determinare i margini di autonomia effettivi dei vertici aziendali, distinguendo tra i periodi ordinari, di sviluppo e di crisi o emergenza. In alternativa, possiamo prendere atto che gli ambiti di autonomia e discrezionalità rimarranno sempre comunque incerti, facendo sorgere un rischio elevato per i vertici aziendali, per certi versi assimilabile a quello dei medici più esposti al rischio professionale. Tale rischio andrebbe quindi compensato con retribuzioni più elevate, con la formazione di staff legali in grado di prevenire e gestire i procedimenti giudiziari e/o con forme di assicurazione professionale”.
Per i ricercatori della Bocconi “bisogna in ogni caso affrontare la difficoltà del SSN a valorizzare e proteggere il ruolo del proprio management, che ha una storia complessivamente di successo durante i 30 anni in cui è stato via via generato e selezionato. E’ davvero giunto il momento di trovare allineamenti più equilibrati e stabili”.
Lucia Conti