“Realizzare un modello di presa in carico domiciliare continuativa, che garantisca mediamente 15-20 ore/mese di assistenza per ciascun utente trattato, attraverso un mix di interventi di profilo sanitario, sociosanitario e sociale, gestiti da soggetti accreditati in grado di erogare in modo organico ed integrato i servizi”.
E’ questo il primo dei punti nodali del Documento inviato da Confcooperative Sanità a Raffaele Fitto, Ministro per gli Affari europei, per le politiche di coesione e per il PNRR, quale contributo concreto per rendere davvero attuabile (e utile) le progettualità previste nel PNRR stesso.
“Una prospettiva” sottolinea Giuseppe Milanese, Presidente di Confcooperative Sanità citando lo stesso documento “che realizzerebbe un sistema assistenziale realmente fondato sul principio “casa come primo luogo di cura” la cui attuazione, tuttavia, ha bisogno di due condizioni: la prima riguarda l’attuazione degli indirizzi nazionali in materia di autorizzazione/accreditamento delle cure domiciliari, rispetto alla quale la maggioranza delle Regioni è in ritardo, la seconda riguarda la carenza di personale”.
La carenza di personale medico, sanitario e sociosanitario rappresenta una delle principali criticità che il SSN dovrà affrontare con estrema tempestività – sottolinea il documento – sia per stabilizzare gli organici fortemente sottodimensionati negli ospedali, sia per realizzare quei servizi sul territorio essenziali proprio per garantire un’alternativa al percorso ospedaliero. Il tema delle risorse umane è dunque ineludibile per qualsiasi ipotesi di riassetto della sanità territoriale.
Ciò suggerisce, a giudizio di Confcooperative Sanità, l’adozione di una duplice strategia:
• da una parte, recuperare ed incentivare l’attrattività delle professioni mediche, sanitarie e sociosanitarie attraverso adeguate politiche di incentivo, di benessere organizzativo e prospettive di sviluppo professionale;
• dall’altra, rafforzare la capacità di risposta sul piano sociosanitario, che rappresenta una parte rilevante del bisogno assistenziale.
Per tale ragione si ritiene essenziale implementare, a livello nazionale, la figura dell’operatore sociosanitario con formazione complementare in assistenza sanitaria (OSS-FC).
Confcooperative Sanità stima che la sola assistenza domiciliare, per sostenere un incremento del bacino di utenza di circa 800.000 unità funzionale al raggiungimento dell’obiettivo del 10% di ultrasessantacinquenni presi in carico previsto nel PNRR/DM77, garantendo al contempo livelli di intervento in linea con gli standard europei e coerenti con i principi della legge 33/2023 sugli anziani (pari a 200-240 ore/anno; si veda 2.2) richiederà l’impiego di 112.000 unità di personale.
Le cure domiciliari sono classificate dal Decreto di revisione dei LEA del 2017 in quattro livelli, sulla base di un Coefficienti d’Intensità Assistenziale (CIA) che rappresenta, semplicemente, il rapporto tra giorni in cui si effettua almeno un accesso ed il numero di giornate previste dal Piano di Assistenza Individuale.
“Si tratta di un parametro grezzo” sottolinea ancora Milanese “ispirato ad una logica evidentemente prestazionale, inadeguato a rappresentare situazioni che richiedono un’azione di presa in carico globale e continuativa dell’assistito e a cui sono collegate tariffe spesso sottodimensionate rispetto alle esigenze di interventi clinici, assistenziali, riabilitativi e socioassistenziali”.
In questo senso lo sviluppo dell’assistenza domiciliare richiede secondo Confcooperative Sanità, la definizione dei profili di “paziente tipo” a cui essa si rivolge, attraverso un’analisi avanzata dei flussi informativi a disposizione, in base ai quali costruire protocolli domiciliari integrati e multiprofessionali di intervento specialistico rispetto alla patologia primaria dell’utente.
Di qui, altro punto focale del Documento, la convinzione per cui “Per l’evoluzione dell’ADI, come previsto nel PNRR nel target relativo alla analisi dei flussi informativi, occorre realizzare una profilazione degli utenti rispetto alle principali classi di patologie croniche sui cui costruire Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali (PDTA) a cui collegare specifici pacchetti tariffari (DRG domiciliari)“.
Infine l’appunto sul tema della Prossimità che evidentemente, per motivi demografici, sociali ed orografici, non riuscirà ad essere demandata totalmente alle Case di Comunità.
La previsione contenuta nel DM 77 di una CdC Hub ogni 40.000/50.000 abitanti, in un Paese in cui l’85% dei Comuni ha meno di 10.000 abitanti, “pone qualche dubbio sulla reale accessibilità soprattutto per gli utenti in condizioni di fragilità sociosanitaria (anziani soli, disabili privi di sostegno familiare, etc.) e/o residenti in aree svantaggiate oppure lontane dai principali centri urbani”.
Secondo Confcooperative Sanità bisogna investire sulla farmacia dei servizi quale proiezione delle Case di Comunità sul territorio, in grado di intercettare i bisogni assistenziali, di erogare determinate prestazioni (diagnostica primo livello, vaccinazioni, interventi di screening, etc.) oppure di mettere in collegamento l’utente con l’offerta presente sul territorio anche attraverso strumenti di telemedicina, allargando necessariamente l’orizzonte oltre il perimetro del pubblico interconnettendo, nel quadro dell’architettura prevista nel PNRR/DM77, le case di Comunità con la farmacia e con gli altri modelli realizzati dal privato e, in particolare, dal Terzo Settore, in un’ottica di complementarità e sussidiarietà con il SSN, avvalendosi di forme avanzate di collaborazione pubblico-privata.