La Sanità italiana ha bisogno di investimenti. Già prima del Covid, con la scorsa manovra, avevamo messo la parola fine alla stagione dei tagli, stanziando risorse extra su edilizia e assunzioni. L’emergenza ha fermato questa opera di finanziamento costante, ma appena riusciremo ad avere più risorse a disposizione, una grossa fetta dovrà essere senza ombra di dubbio destinata alla sanità. Venti, venticinque miliardi è il minimo necessario da investire per recuperare i tagli del passato”. Queste le parole del viceministro alla Salute, Pierpaolo Sileri, ospite della prima puntata di Health Serie, il nuovo format ideato da Quotidiano Sanità e Popular Science per approfondire insieme ad importanti ospiti del panorama politico e scientifico alcune tra le tematiche più scottanti della sanità italiana.
La prima edizione di Health Serie è dedicata al coronavirus e, in particolare, ai “Pazienti cronici fragili dopo Covid 19”. La tematica sarà affrontata nel corso di tre puntate, a cadenza settimanale. Ciascun appuntamento si concentrerà su una delle tre grandi sfide che attendono la sanità e la medicina del territorio per i pazienti cronici nel post-covid: governance, presa in carico e cure.
La prima puntata di Health Serie, svolta nel pomeriggio di ieri, ha trattato la sfida della governance e il tema del Chronic Care Model e dei nuovi equilibri ospedale-territorio (le prossime puntate si svolgeranno il 18 giugno, La sfida delle Cure. Distribuzione, erogazione e domiciliazione delle terapie, e il 26 giugno, La sfida della presa in carico: Pdta 2.0, Usca, telemedicina, telecontrollo, fascicolo sanitario elettronico e ricetta dematerializzata).
A sviluppare il tema, oltre a Sileri, c’erano l’assessore alla Sanità della Sicilia, Ruggero Razza; i presidenti di Fiaso e Card, Francesco Ripa di Meana e Gennaro Volpe; il direttore del Centro HTA Ceis Tor Vergata, Francesco Saverio Mennini; il Ceo di Alfasigma Pier Vincenzo Colli.
Il confronto è partito dalla presa d’atto sulle debolezze del Ssn emerse con il coronavirus. Opinione comune è che lo sviluppo di una sanità territoriale efficiente, tecnologica e integrata con l’ospedale sia un obiettivo fondamentale da realizzare. Gli investimenti di cui ha parlato il viceministro serviranno anche a questo: “Ad investire sulle tecnologie, ad aumentare i servizi su territorio e l’integrazione con l’ospedale”. Per il viceministro si potrà anche pensare alla realizzazione di nuovi ospedali, “ma la prima cosa su cui investire – ha precisato – è il personale”. Il che significa, per Sileri, anche valorizzare le professionalità e garantire condizioni di lavoro migliori, “perché se dobbiamo aumentare le borse di specializzazione, dobbiamo anche fare il modo che i medici che entrano nel Ssn poi ci rimangano”. Quindi aumentare l’attrattività del Ssn per fermare la fuga dei camici bianchi dalla sanità pubblica italiana.
Per Sileri c’è spazio di manovra anche sul DM 70/2015, perché “le riduzioni sono state fatte bene in alcune Regioni ma molto male in altre”. Anche le farmacie, secondo il viceministro, ricopriranno un ruolo importante nel nuovo modello di sanità.
Per il viceministro occorre, insomma, “rimodellare completamente il Ssn”. L’importante è che ogni cambiamento sia guidato dalla volontà di realizzare “una serie di riforme strutturali e non toppe per andare avanti”.
Il Ceo di Alfasigma, Pier Vincenzo Colli, ha quindi evidenziato il ruolo svolto dal settore farmaceutico durante l’emergenza covid-19: “Abbiamo cercato di dare un sostegno molto forte al Paese, sia dal punto di vista di assistenza ai pazienti che da un punto di vista economico. Abbiamo aumentato la produttività e ci siamo dati regole molto stringenti per garantire l’approvvigionamento di farmaci in ogni parte di Italia. Abbiamo messo in campo un grandissimo sforzo nella ricerca e nello sviluppo e produzione di un vaccino contro il covid, che ci auguriamo possa arrivare presto”.
Quanto alla separazione tra ospedale e territorio, il Ceo di Alfasigma ha spiegato come tale distinzione si riscontri in un certo senso anche rispetto al farmaco: “Ci sono farmaci per pazienti acuti e di utilizzo prevalentemente ospedaliero – mi riferisco alle terapie innovative, oncologiche, orfane – e farmaci per la cura dei pazienti cronici sul territorio. E la collaborazione con i medici è costante perché compito dell’industria farmaceutica è anche quello di condividere conoscenze e know how. Di aiutare i medici a comprendere quale è la migliore soluzione terapeutica per ogni singolo paziente. Tenendo conto che anche le informazioni sui farmaci sul mercato da tanti anni sono in continuo aggiornamento”.
Colli ha poi ricordato l’importanza della farmacovigilanza. “Quando parliamo di pazienti anziani e fragili, ci riferiamo a persone con patologie multiple. Circa il 60-65% dei consumi di farmaci sul territorio sono tra gli over65 enni e di questi circa l’80% è trattato con 3 o 4 molecole diverse contemporaneamente. I rischi dell’interazione tra farmaci vengono spesso sottovalutati, mentre sono un aspetto molto su cui prestare grande attenzione in quanto influisce sulla salute, sull’ospedalizzazione e sui decessi”. Colli ha quindi richiamato alla necessità di maggiore attenzione anche sull’aderenza terapeutica: “C’è un costo molto elevato legato alla mancanza di compliance”. Tutti aspetti, quelli citati dal Ceo di Alfasigma, che influiscono sulla salute ma anche sui costi. Se si parla di risorse in sanità, dunque, non possono essere ignorati.
Dunque, se il covid ha avuto un aspetto positivo, è stato quello di mettere il sistema sanitario di fronte alla necessità di reinventarsi. “Penso – ha detto l’assessore alla Salute della Regione Sicilia, Ruggero Razza – che il covid ci stia in qualche modo dando l’opportunità di realizzare una sanità meglio organizzata. Ma per questo serve anzitutto una revisione del decreto Balduzzi e una nuova politica del personale. Su quest’ultimo aspetto voglio sottolineare che con l’emergenza covid si sono accesi i riflettori su due grandi questioni sollevate da tempo dalle Regioni: l’inserimento degli specializzandi nel Ssn e l’immissione di quei professionisti che non sono riusciti ad accedere alle scuole di Specializzazione”.
Quanto alla sanità territoriale, per Razza va fatto anche un salto culturale, perché “la percezione diffusa oggi è che il medico bravo sia in ospedale e il medico meno bravo sia sul territorio. Questo non è vero. Abbiamo grandissime professionalità da valorizzare. Ma dobbiamo dargli le risorse necessarie, a cominciare dalla strumentazione tecnologica. Questo per arrivare a organizzazione della rete ospedaliera più aderente alle nostre esigenze, a una sanità digitale che sarà l’occasione per la messa a sistema delle professionalità, e a professionisti del territorio valorizzati e integrati con il resto del sistema”.
Anche per il direttore del Centro HTA del Ceis Tor Vergata, Francesco Saverio Mennini, la questione economica non può essere sottovalutata se si intende sviluppare il territorio: “Per troppi anni questa area è stata sottofinanziata, ma oggi più che mai è necessario recuperare i ritardi. Anche perché – ha fatto notare l’economista – la riduzione degli spostamenti legata al covid hanno prodotto e continueranno a produrre una contrazione della mobilità sanitaria, con improntate conseguenze sia sulle Regioni che accoglievano pazienti di altre Regioni che sulle Regioni che dovranno riorganizzarsi per garantire, a costi sostenibili, prestazioni che i loro cittadini ricevevano prima oltre confine. Questo vorrà dire costruire rapporti con le strutture private e poi ricorrere al territorio e alla domiciliarità, a cui però andranno forniti tutti gli strumenti e le tecnologie necessarie”.
Il direttore del Centro HTA del Ceis Tor Vergata ha concluso il suo intervento evidenziando come, secondo il suo parere, “il ricorso al Mes sia uno degli atteggiamenti più virtuosi” che l’Italia possa avere “dal punto di vista strettamente economico”. Perché “se dovessimo immettere titoli di Stato, pagheremmo il triplo di quanto accadrebbe con il Mes. Non vedo, quindi perché non si debba ricorrere a questa opportunità che interessa non solo i costi sanitari diretti, ma anche quelli indiretti. Mi riferisco ai ritardi nelle diagnosi, alla non aderenza alle terapie, alla mancate adesione ai piani vaccinali e di prevenzione. Tutti aspetti che determinano decine di miliardi di euro all’anno di costi sociali e di welfare. Costi ben superiori a quelli sanitari. Parliamo di decine di miliardi di euro ogni anno”.
Per Mennini, “se il covid ha avuto un aspetto positivo, è stato quello mettere in evidenza che la logica del silos non porta risultati. Neanche dal punto di vista della contabilità economica e finanziaria”.
Un’altra “lezione” del covid, secondo il presidente della Fiaso Francesco Ripa di Meana, è stata quella sull’assistenza domiciliare dei pazienti acuti. “Per tanti anni, così come all’inizio dell’emergenza – ha osservato – ci si è concentrati tantissimo sugli ospedale come se fossero l’unico luogo che potessero offre una soluzione. Ci si è invece presto accorti che gli ospedali erano diventati parte del problema, perché era lì che si era concentrata la carica virale. Si è quindi compreso che si si sarebbe dovuti occupare di più del territorio”.
Ma ormai non si poteva che rimboccarsi le maniche: “Abbiamo così realizzato, sul territorio, una nuova esperienza: quella della patologia acuta a domicilio. Il domicilio è diventato un luogo di isolamento, quindi un setting importantissimo. Ed è diventato un luogo di cura, anche per i pazienti oncologici e fragili che non potevano più recarsi in ospedale. Le cure sono arrivate nelle loro case, e abbiamo messo in campo sistemi per metterli in costante contatto con l’ospedale”.
Per il presidente di Card, Gennaro Volpe, è quindi fondamentale aprire dibattito. “Dobbiamo capire cosa è successo sul territorio e capire come dare un futuro diverso a questa area della sanità”. Uno dei problemi da superare, secondo Volpe, è “la prevalenza di individualità”. “Ognuno – per il presidente della Card – ha coltivato il loro orticello e pochi sforzi sono stati fatti per l’evoluzione del territorio, che è fondato sul Distretto. Dal nostro punto di osservazione, quello emerso durante la pandemia è che dove i distretti erano organizzati l’emergenza è stata gestita meglio”.
Per Volpe c’è quindi bisogno di ripartire dal distretto. “È arrivato il momento di rilanciarlo, partendo dalla definizioni dei ruoli. Il territorio oggi è stato un film realizzato senza una regia. C’è invece necessità di un coordinamento. Di team formati da medici, infermieri, tecnici prevenzione, fisioterapisti e altri. Che arrivino nelle case delle persone. Questa è la missione del distretto sanitari: identificare chi ha bisogno di cure e prenderle in carico”.
Lucia Conti