Distribuzione diretta dei farmaci, la FNOMCeO in audizione alla Camera. Anelli: “Coinvolgere le Case di Comunità e inviare i farmaci a domicilio”

Ampliare la distribuzione diretta dei farmaci, coinvolgendo nella dispensazione anche le Case di comunità. E inviare i medicinali al domicilio del paziente, “per il tramite delle farmacie territoriali o con meccanismi diversi, valorizzando in ogni caso il ruolo dei medici di medicina generale per la prescrizione e dei farmacisti per la dispensazione”.

Sono queste le proposte di Filippo Anelli, Presidente della FNOMCeO, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, ascoltato il 1 marzo scorso in audizione presso la Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, nell’ambito dell’indagine conoscitiva in materia di distribuzione “diretta” e “per conto” dei farmaci.

Il sistema della distribuzione “diretta”, attraverso le strutture delle aziende sanitarie, o “per conto”, tramite specifici accordi con le farmacie convenzionate, era stato introdotto già nel 2001, con la Legge 405. L’obiettivo dichiarato era quello di ottimizzare l’aspetto clinico e sociale del coinvolgimento del paziente, in un’ottica di sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Le strutture sanitarie pubbliche godono, infatti, per legge, di condizioni di acquisto migliori e, con questi meccanismi, eliminano o abbattono dai bilanci i costi di distribuzione tramite le farmacie territoriali. Peccato che, secondo Anelli, la normativa non sia stata pienamente attuata, né uniformemente applicata.

Le norme attuali – sottolinea – erano nate con l’obiettivo di migliorare l’equità di accesso alle curePurtroppo, non tutte le Regioni hanno creduto sino in fondo in questo meccanismo, e la distribuzione diretta e/o per conto risulta applicata a macchia di leopardo e con modalità diverse sul territorio italiano”.

Tortuoso, sempre a parere del Presidente FNOMCeO, il percorso che oggi il cittadino è costretto a fare per ottenere i farmaci del cosiddetto “Prontuario Ospedale Territorio”, che ricomprende i principi attivi interessati dalla distribuzione diretta o per conto: il paziente è infatti costretto a uno “slalom” tra specialista, medico di medicina generale e, infine, farmacia ospedaliera, distrettuale o territoriale.

È evidente, a nostro avviso, che questo percorso debba essere ottimizzato al fine di garantire al contempo: il massimo della facilità d’accesso, della sorveglianza clinica al paziente e l’ottimizzazione economica, in primis per il cittadino e ove possibile per il Servizio sanitario nazionale, nell’ottica della sua sostenibilità – spiega -. Il punto non è tanto il risparmio, lo sconto, ma è dare un servizio al cittadino: in quest’ottica, l’intero sistema di distribuzione va rivisto”.

Dunque, le attività delle case di comunità, delle centrali operative territoriali che presentano quali elementi fondanti e alla base della loro organizzazione l’informatizzazione e la progettualità, potrebbero essere considerate in funzione di ottimizzare i suddetti percorsi – propone – al fine di consentire al paziente di ottenere il farmaco senza troppi spostamenti e in tempi più brevi, garantendo al tempo stesso una più accurata sorveglianza clinica del paziente. Mentre, infatti, lo specialista visita il paziente con cadenze spesso più o meno lunghe, il medico di famiglia diventa più direttamente il «sorvegliante» dello stato clinico del paziente potendo di conseguenza gestire al meglio la promozione dell’aderenza terapeutica, dell’idoneità, dell’appropriatezza prescrittiva e della continuità terapeutica. Sarebbe questa una visione innovativa che andrebbe nel senso della “medicina di iniziativa” prevista per le “Case di comunità” e che si potrebbe pensare di estendere alla dispensazione del primo ciclo di terapia, come già oggi avviene in alcune Regioni all’atto della dimissione dagli ospedali”.

La distribuzione dei farmaci potrebbe quindi avvenire nell’ambito delle case di comunità – o, nelle more, nelle unità di cure primarie – con modalità “diretta”, e attraverso le farmacie territoriali, con modalità “per conto” – conclude Anelli -. Si potrebbe anche introdurre una terza modalità, che ottimizzerebbe ancor più questo percorso: la distribuzione del farmaco al domicilio del paziente, per il tramite delle farmacie territoriali o con meccanismi diversi, valorizzando in ogni caso il ruolo dei medici di medicina generale per la prescrizione e dei farmacisti per la dispensazione. Ricevere il farmaco a casa sarebbe un servizio ai cittadini che faciliterebbe l’accesso alle cure in maniera più equa anche per i pazienti con difficoltà di movimento, migliorando l’aderenza terapeutica”. 

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