Raccomandazioni e action plan che prendono le mosse da un’indagine condotta tra 18.200 manager e professionisti apicali della sanità per raccogliere la loro opinione sui percorsi di trasformazione digitale proposti con il Pnrr. Dopo un anno di lavoro e approfondimenti, il board di esperti del progetto DI.CO. (Digitalizzazione Collaborativa) promosso da Bayer ha le idee chiare e alcune parole d’ordine: linee guida uniche per garantire omogeneità ed equità, cultura del cambiamento, revisione dell’organizzazione e dei processi, lavoro di squadra. LE SLIDE
La digitalizzazione della sanità è un processo inarrestabile, ma il valore che potrà portare al sistema dipenderà da come verrà condotto. Le potenzialità sono numerose: più efficienza, qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria. C’è però anche il rischio (e le esperienze attuali lo confermano) che tutto si perda in qualche sporadico e poco organizzato progetto che, seppur positivo, alla fine porterà pochi vantaggi al sistema nel suo insieme o, nei peggiori dei casi, verrà interpretato dagli operatori come l’ennesima imposizione calata dall’alto senza alcun beneficio per il cittadino. Per evitare questo ultimo quadro Bayer, insieme a Telos Management Consulting e a Sics (Società Italiana di Comunicazione Scientifica e Sanitaria) ha lanciato il progetto DI.CO. Sanità (DIgitalizzazione Collaborativa in Sanità), riunendo attorno a questo tema un board di esperti di alto livello composto da manager, dirigenti e studiosi della digitalizzazione in Sanità. Dopo circa un anno di lavoro e approfondimenti, le Raccomandazioni e le action plan elaborate dal board sono state presentate a Roma nel corso del National Summit condotto da Corrado De Rossi Re, direttore di Sanità Informazione.
Ad aprire gli interventi Arianna Gregis, Country Division Head Pharmaceuticals Bayer Italy, che ha spiegato come il progetto nasca dalla volontà di assicurare che la rivoluzione digitale in sanità porti valore al sistema. Con DI.CO, dunque, Bayer ha voluto farsi “facilitatore” della costruzione di “un percorso di collaborazione fattiva a supporto dell’innovazione non solo terapeutica ma anche tecnologica, in una logica di co-creazione. Non abbiamo un pacchetto predefinito di soluzioni da condividere, ma abbiamo voglia di mettere insieme le esperienze per trovare le soluzioni migliori a realizzare una digitalizzazione di valore e sostenibile”.
Da tempo, anche a livello internazionale, Bayer ha scelto di percorrere una strada di Open Innovation. “Di pensare alla Ricerca & Sviluppo come a un’opportunità per stringere partnership con istituzioni, centri di ricerca, aziende biotech, andando incontro all’avanguardia”, ha spiegato la Country Division Head Pharmaceuticals Bayer Italy. Questo stesso spirito di collaborazione si traduce in Italia con progetto come DI.CO Sanità.
Gregis ha quindi ricordato come siano già arrivate a 31 le best practice italiane raccolte, analizzate e condivise con il progetto DI.CO “Eccellenze riconosciute non solo dagli esperti del board ma che testimoniano anche il valore attribuito a Di.Co. dalle giurie scientifiche indipendenti, come dimostra la candidatura del nostro progetto tra i Best Digital Project Of The Year nell’ambito dei Life Science Excellence Award”, ha concluso.
Collegato in video, anche Enrico Santus, Head of Human Computation di Bloomberg, ha evidenziato il valore dell’iniziativa. La digitalizzazione e l’Intelligenza artificiale in sanità, ha spiegato, hanno un valore “inquantificabile”. Archiviare solo una piccola parte dell’enorme quantità di informazioni a disposizione vuol dire disperdere una miniera conoscenze sulle malattie che stiamo studiando e combattendo e che potrebbero fare davvero la differenza per la salute delle persone. Per Santus, allora “l’esperienza e gli errori degli Stati Uniti, dove l’uso dellee tecnologie è in fase molto avanzata, devono ispirare e aiutare l’Italia a compiere questo passo in avanti e creare un sistema robusto”.
Ad Alida Nardiello, di Telos Management, il compito di illustrare i risultati della survey che ha coinvolto 18.200 manager e professionisti apicali della sanità per conoscere lo stato dell’arte in merito ai percorsi di trasformazione digitale proposti con il Pnrr. Opinioni che hanno rappresentato la base di partenza per il board di eserti DI.CO.
“Il primo aspetto ad emergere è che il peso dato alla digitalizzazione come fattore di supporto al sistema in termini di competitività e sostenibilità è generalmente buona”, tuttavia l’80% degli intervistati dichiara di non sapere se esiste una programmazione regionale sulla trasformazione digitale oppure sa della sua esistenza ma sostiene che le informazioni non riescono a raggiungere direttamente gli addetti ai lavori.
E mentre restano limitati i casi di applicazione di strumenti di natura digitale nelle aziende (solo nel 60% delle aziende si utilizza la cartella elettronica e sistemi di archiviazione dei documenti), il 37% degli intervistati dichiarato che anche laddove introdotti, i progetti di digitalizzazione sono stati semplicemente calati nella realtà, senza alcuna una specifica preparazione.
Le aspettative restano comunque alte: per il 77% vede nello strumento digitale potenzialità di supporto alle decisioni grazie alla disponibilità di strutturati nel percorso di cura, il 47% di supporto alla ricerca e il 66% di supporto a multidisciplinarietà.
Partendo da queste criticità, ma anche dalle best practice, il Board ha quindi elaborato una serie di raccomandazioni, articolate su quattro macro-ambiti: Organizzazione e processi, Regolamentazione e standard di riferimento, Infrastruttura e gestione dati, Cultura del cambiamento.
A presentarle Monica Calamai, Direttore generale dell’Ausl di Ferrara; Giorgio Casati, Dg della Asl Roma 2; Carlo Nicora, Dg della Fondazione Irccs Istituto Nazionale dei Tumori di Milano; Paola Petralia, direttore generale dell’Asl 4 Genova.
“Viviamo un momento straordinario – ha detto Monica Calamai nel suo intervento -, nel quale ci viene data la possibilità di introdurre in sanità strumenti incredibili mai visti prima. Ma è evidente che serve un piano globale all’interno di un quadro complessivo strategico di sanità verso il quale dobbiamo convergere”. Per Calamai è quindi necessari partire da “una visione nazionale, da trasferire poi a livello regionale e quindi adattarla alle realtà aziendali”. Questo per evitare difformità e garantire la centralità del paziente, “che può essere esaltata solo se c’è una visione complessiva del suo percorso di cura”.
Per Giorgio Casati, tra i punti fondamentali per costruire una cornice chiara c’è sicuramente “la definizioni di standard minimi di servizio” e l’”armonizzazione di regolamenti tra la visione e le normative che hanno a che fare con privacy e cyber security”. Ancora l’aggiornamento dei sistemi di tariffazione con inserimento del sistema digitale e lo sviluppo di modelli di riconoscimento economico che abbiano come centro non la singola prestazione ma la presa in carico complessiva. Da qui l’appello all’attivazione di “tavoli di lavoro multilivello (stato – regione / regione – azienda) per coordinare e rendere integrate la strategie nazionali con la sua declinazione regionale”.
Revisione organizzativa dei percorsi e dei processi di cura, ma anche formazione di operatori e fruitori. E poi messa a regime di una infrastruttura in grado di garantire l’interoperabilità dei sistemi estesa anche alle strutture autonome e ai medici del territorio. Questi altri aspetti da non dimenticare per Carlo Nicora. Che ha evidenziato come “interoperabilità non significa solo permettere a due sistemi di condividere dati, ma essere certi che i professionisti che archiviano le informazioni utilizzino lo stesso linguaggio e metodo di registrazione dei dati”.
Nessun cambiamento, tuttavia, può avvenire senza una ‘cultura del cambiamento’. “La cultura – ha detto Paola Petralia –è quell’elemento che non solo dà la spinta, ma ci aiuta a mantenere il cambiamento nel tempo. Per questo deve permeare tutto il processo, in una logica di continuo miglioramento”. Ognuno, ha aggiunto Petralia, “deve essere consapevole del proprio ruolo per il successo del cambiamento, ma anche del fatto che il suo ruolo è parte di un sistema”. Dunque competenza e coinvolgimento, a livello aziendale ma anche a livello dei cittadini e dei pazienti: “Non mi piace l’immagine del paziente al centro, come la palla da prendere a calci in una partita di calcio. Penso che il paziente sia un compagno di squadra, un alleato essenziale per vincere la partita”, ha concluso Petralia.
Al National Summit è intervenuto anche Francesco Zaffini, presidente della commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato, l’impegno della politica a sostenere l’evoluzione digitale, che “è indispensabile per strutturare la sanità del territorio e affrontare le sfide della modernità”. Una sfida che “si gioca in un contesto non semplice”, ma “credo che il ministro e il ministero la stiano affrontando con convinzione”.
Per Zaffini sarà necessaria la collaborazione di tutte le categorie professionali della sanità. Soprattutto nelle aree più isolate, “il ruolo delle farmacie rurali, supportate dalla digitalizzazione, può fare la differenza”. Il presidente della X commissione del Senato ha quindi riferito che la Commissione sta lavorando a un protocollo con le farmacie e che il fondo per la farmacia dei servizi sarà rifinanziato. La digitalizzazione, inoltre, potrà, secondo Zaffini, contribuire a colmare in parte la carenza di professioni sanitari, “ad esempio consentendo a un medico di avere un numero maggiore di assistiti, potendo contare sui vantaggi associati alle prestazioni di telemedicina e ai sistema di alert e di rischio per i pazienti in monitoraggio costante”.
L’obiettivo, per il presidente della X commissione del Senato, resta comunque quello di ridurre la carenza di personale, “criticità che stiamo già cercando di sanare, rendendo il lavoro più attrattivo e restituendo dignità ai professionisti, a partire dal percorso formativo”.
Il piano d’azione sembra chiaro, ma passare dalle parole ai fatti è difficile. Allo stato attuale, come ha rilevato Ignazio Del Campo, Direttore Uoc Controllo di Gestione dell’Aou di Catania, “c’è una distanza enorme tra il mondo reale e quello che ci immaginiamo con il Pnrr. Le esperienze di sviluppo non sempre sono eterogenee e coordinate con le strutture che dovrebbero definire la strategia che raggiungere l’obiettivo”. Anche per Del Campo serve una strategia “omogenea”, perché “la frammentarietà e il caos non portano mai buoni risultati”.
Gabriella Levato, medico di medicina generale della Lombardia, ha evidenziato come “da anni la medicina generale sia digitalizzata, con software di gestiione delle attività di studio ma anche di tipo amministrativo. Tuttavia questa digitalizzazione ad oggi non si è tradotta anche in interdisciplinarietà ed è quello, a mio parere, il salto in avanti da compiere. Lo strumento digitale deve aiutarci a rendere interdisciplinare la salute, sul territorio ma non solo”.
Per Mattia Altini, responsabile settore Assistenza Ospedaliera della Regione Emilia-Romagna e presidente della Simm (Società Italiana di Leadership e Management in Medicina) in gioco c’è lo stesso diritto alla salute e all’equità delle cure sanciti dalla legge 833/78, così come il DM77: “Se non abbiamo la possibilità di connettere, interconnettere e rendere interoperabili i sistemi professionali, diventerà sempre difficile garantire quella visione di insieme essenziale per rispondere ai bisogni di salute dei cittadini”.
Arturo Cavaliere, presidente della Sifo, ha parlato della digitalizzazione come di “un’opportunità da cogliere, ma cogliere tutti insieme”. Per questo, ha spiegato, “abbiamo chiesto che gli standard minimi dell’equipe multidisciplinare prevista dal DM77 sia integrata con la figura del farmacista ospedaliero, che può rappresentare il centro hub da cui parte la programmazione sanitaria, la raccolta fabbisogno territorio e l’ordine elettronico delle terapie, che nella maggior parte delle occasioni riguarderanno condizioni destinate a diventare croniche”.
Farmacie e avamposti di salute è quello su cui sta lavorando la Asl di Salerno, per rispondere ai bisogni di salute di un’area molto vasta caratterizzata da micro-centri. “Dobbiamo coinvolgere le farmacie rurali e anche i medici di medicina generale e gli infermieri di comunità”, ha spiegato Gennaro Sosto. “Dobbiamo creare degli ambienti in cui i professionisti possano operare, forse non tutti i giorni, ma assicurando continuità e un punto di riferimento e raccordo per i bisogni di una determinata popolazione”. Sosto accenna anche all’istituzione di un “manager del patient journey, per non lasciare più che i cittadini, soli, si perdano nel labirinto dell’offerta sanitaria”.