Migliorare non solo la presa in carico, ma la vita del paziente, il suo benessere. Questa la sfida della digitalizzazione nella gestione del paziente diabetico e con complicanze in Emilia-Romagna. Un obiettivo che però è rivolto a tutta la popolazione, come hanno raccontato all’ultimo Regional Summit promosso da Sics nell’ambito del progetto Di.Co Sanità di Bayer Italia Mattia Altini (Regione Emilia-Romagna), Daniele Bandiera (Fe.D.E.R.), Marco Cupardo (Simg), Paolo Di Bartolo (Diabetologo) e Gaetano La Manna (Nefrologo).
La gestione dei pazienti con poli-morbilità è una crescente priorità di salute pubblica, richiedendo un approccio multidisciplinare e un’evoluzione dei paradigmi di cura. Il paziente diabetico, con frequenti co-morbidità come nefropatia, maculopatia e malattie cardiovascolari, è un esempio emblematico. In Italia, oltre il 90% dei diabetici ha il tipo 2, con un alto tasso di morbilità e mortalità, soprattutto per cause renali e cardiovascolari. Circa il 6,5% della popolazione è diabetica (dato che si avvicina all’8% in Emilia-Romagna) e il 47% sviluppa malattia renale cronica. Una gestione integrata tra Medici di Medicina Generale, diabetologi, cardiologi e nefrologi è cruciale per la diagnosi precoce e la prevenzione delle complicanze, come la dialisi, che impattano negativamente sulla qualità di vita e sui costi sociali. La digitalizzazione gioca un ruolo chiave nell’ottimizzazione del percorso del paziente, favorendo le cure a domicilio, come previsto dal DM 77.
L’Emilia-Romagna è un esempio di gestione integrata, con l’apertura di ambulatori dedicati alla gestione dell’insufficienza renale progressiva, contribuendo a rallentare la progressione della malattia e a ridurre le complicanze. Ma anche in Emilia-Romagna c’è ancora qualche chilometro da percorrere per arrivare anche grazie alla digitalizzazione – a una gestione ottimale del paziente diabetico. Se è parlato nell’ultimo Regional Summit di Sics, in onda il 4 novembre e promosso nell’ambito del progetto di Digitalizzazione Collaborativa Di.Co. lanciato da Bayer Italia per favorire sinergie tra soggetti pubblici e privati per una sanità sempre più a portata del cittadino. Protagonisti dell’incontro, condotto da Corrado De Rossi Re, Direttore di Sanità Informazione, sono stati Mattia Altini, responsabile Settore Assistenza Ospedaliera Regione Emilia-Romagna; Daniele Bandiera, presidente Fe.D.E.R. (Federazione Diabete Emilia-Romagna); Marco Cupardo, segretario regionale Simg Emilia-Romagna; Paolo Di Bartolo, diabetologo, direttore della Rete Clinica di Diabetologia dell’AUSL della Romagna; Gaetano La Manna, nefrologo, professore ordinario del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche; Direttore dell’Unità Operativa di Nefrologia, Dialisi e Trapianto, Policlinico di Sant’Orsola.
Come accennato, l’Emilia-Romagna ha una tradizione in termini di mutidisciplinarietà che, secondo Mattia Altini, poggia le basi non solo sulle competenze individuali ma, soprattutto, sulla capacità di lavorare insieme. “E’ evidente che l’uso degli strumenti a disposizione per gestire al meglio una patologia ad alta incidenza e complessità come il diabete dipende anche da quanto si è in grado di creare collegamenti tra specializzazioni e comparti. Per questo credo che il tema oggi al centro del Dm77, e dunque della cronicità e dello spostamento della presa in carico sempre più in prossimità, giri intorno al termine comunità. Abbiamo bisogno – ha detto Altini – di costruire intorno a un ambito patologico un sistema in cui la comunità venga accompagnata ad utilizzare meno il sistema delle cure. Come? Migliorando gli stili di vita, ad esempio”.
Accendendo i riflettori sulla prevenzione, il responsabile del settore Assistenza Ospedaliera della Regione Emilia-Romagna ha parlato di “costruire un sistema articolato ma integrato che, anche attraverso un luogo di riferimento, che può essere la casa di comunità, conduca, ad esempio nel caso del diabete, a un minore uso degli ipoglicemizzanti”. Per Altini si tratta di “un livello di coscienza individuale – che però diventa anche collettiva – che il sistema deve creare e alimentare. Perché alla fine il vero obiettivo del Ssn è avere una popolazione più sana, che usa i presidi sanitari il meno possibile”.
La telemedicina e la digitalizzazione in sanità possono essere sicuramente una risorsa per raggiungere questo scopo. Tuttavia, ha sottolineato Altini, “prima serve il salto culturale, poi si può passare a quello strutturare. Dobbiamo essere capaci cambiare e quindi di essere trasformativi. Oggi, invece, gioca con regole di sistema troppo spesso datate”. Tra gli ostacoli individuati da Altini, c’è quello della condivisione del dato, su cui “riscontriamo almeno due grandi barriere: la prima legata al fatto che almeno una parte dei dati raccolti dai medici di famiglia con arrivano al Ssr”; la seconda riguarda “i limiti al trattamento dei dati per motivi di privacy. Senza intervenire già solo su questi due elementi, è evidente che il DM 77 non sarà esigibile”.
Riprendendo le premesse del responsabile del settore Assistenza Ospedaliera dell’Emilia-Romagna, Marco Cupardo ha evidenziato come il medico di medicina generale sia una colonna portante di questo sistema integrato e multidisciplinare, “di cui dovrebbe restare registra e ponte”.
Per il segretario regionale Simg Emilia-Romagna, la telemedicina non potrà mai ridurre il carico del lavoro del medico di medicina generale, anzi finirà per aumentarlo: “Però migliorerà tantissimo l’assistenza, e questo avrà un impatto positivo anche sul lavoro del medico di medicina generale”. Infatti, ha spiegato Cupardo, “compilare un’impegnativa con invio allo specialista è un’attività sicuramente più veloce che collegarsi con i colleghi specialisti, condividere la cartella clinica e discutere insieme i diversi aspetti che riguardano la salute di uno specifico paziente. Ma questo lavoro coordinato permette ai medici di rivolgersi domande e osservazioni, di evitare le incomprensioni e la mancanza di elementi che possono invece presentarsi laddove sia il paziente a dover riportare allo specialista i dubbi del medico di medicina generale o il contrario”.
Per Cupardo questo modo di lavorare permetterà sicuramente di raggiungere migliori esiti di salute “e, probabilmente, anche di ridurre il ricorso all’ospedale e alle visite specialiste dal medico specialista e del territorio”. La telemedicina e la digitalizzazione, ha però precisato il segretario regionale della Simg, “sono uno strumento, un mezzo, non il fine. Il fine è la presa in carico del paziente, non solo in termini di salute ma di benessere”. Osservazione che ha trovato concordi tutti gli ospiti del Regional Summit.
Paolo Di Bartolo ha riferito come la diabetologia viva una situazione “privilegiata” in termini di digitalizzazione e innovazione tecnologica: “È tra gli ambiti più digitalizzati, basti pensare ai dati generati dai sistemi di monitoraggio della glicemia continua a domicilio. Parliamo di circa 288 dati al giorno che, caricati sul cloud, costruiscono la base sulla quale aprire il dialogo con il paziente ma anche con gli altri professionisti”.
Migliorare la prevenzione, la diagnosi e la presa in carico dei cittadini diabetici o a rischio diabete è, per il direttore della Rete Clinica di Diabetologia dell’AUSL della Romagna, una necessità assoluta: “Lo dicono i numeri. Già oggi in Emilia-Romagna contiamo 8 persone ogni 100 che vivono con il diabete, con una prevalenza cresciuta del 30% da 2010 ad oggi. Sono numeri impressionanti e in continua crescita”. Per Di Bartolo questo andamento ha bisogno di nuovi modelli organizzativi e assistenziali, che debbano sicuramente poter contare sulla collaborazione tra più specialisti, ma anche tra più livelli, compresi quelli istituzionali e amministrativi: “Per intenderci: sappiano che due terzi delle persone con diabete vivono nei centri urbani. Questo significa che in quei centri esistono condizioni che favoriscono lo sviluppo del diabete e sui quali occorre cercare di intervenire”.
Tra le questioni da affrontare, per Di Bartolo, anche “il riconoscimento della telemedicina come prestazione assistenziale”.
Prevenzione, primaria e secondaria, multidisciplinarietà e telemedicina, sono tutti aspetti che diventano cruciali anche quando parliamo di complicanze. Quella renale è tra le più importanti, per quanto riguarda il paziente diabetico. “Va detto – ha osservato Gaetano La Manna – che la multidisciplinarietà di approccio non è qualcosa che si improvvisa, bensì un modo di lavorare che ha bisogno di essere costruito. In che modo? Uscendo dalla logica cosiddetta ‘di prestazioni’, cioè di invio a un altro medico per un consulenza, ed entrando nella logica di un percorso strutturato di condivisione”. Per quanto concerne in particolare la malattia reale e l’individuare precocemente dei segni, “il diabetologo e il medico di medicina generale devono essere i professionisti di primo livello in grado di individuare i casi che necessitano della valutazione del nefrologo, aprendo un canale con questo specialista”.
Anche per La Manna la telemedicina è una risorsa preziosa, “che non potrà mai essere sostitutiva della visita al paziente, ma potrà contribuire a migliorare il monitoraggio nel tempo del paziente e a determinare migliore outcome di salute e benessere”.
Il nefrologo ha infine voluto citare un elemento di criticità da affrontare: “La classe medica dovrebbe godere di maggiore fiducia da parte delle autorità regolatorie. Spesso siamo oberati da piani terapeutici e le nostre decisioni devono sottostare a una serie di vincoli anche terrificanti. Nessun medico prescrive una terapia per sprecare i soldi, ogni scelta terapeutica è valutata nella convinzione che sia quella giusta per il paziente. Eppure a volte basta che un valore sia di pochissimo diverso da quello previsto per precludere a un paziente l’accesso alla terapia che il medico ritiene più corretta per lui”.
Ma cosa ne pensano i pazienti? “Come Feder – ha precisato Daniele Bandiera – cerchiamo di guardare non solo a quello che serve al malato con diabete ma a quello che serve ai cittadini”. Per Bandiera la sfida sarà veramente vinta “quando riusciremo a passare dal concetto di salute al concetto di benessere, che riguarda i pazienti, i cittadini ma anche i caregiver”.
Il presidente di Feder ER ha riferito come ancora oggi il paziente debba muoversi tra i “silos”. In che modo dovrebbe, allora, strutturarsi quella condivisione? La telemedicina è sicuramente uno strumento utile a questo scopo ma “la telemedicina – ha sottolineato – non è quella che è nata con il Covid con cui le aziende sanitarie usavano un tablet per parlare con il pazienti. La telemedicina è quella dei dati, dei monitoraggi, dell’approfondimento”.
Inoltre, per Bandiera, in questo momento sono essenziali tre elementi: “Da un lato una governance capace di indirizzare; organizzare le case di comunità, prevedendo tra l’altro, al loro interno, anche la presenza dei rappresentanti delle associazioni dei pazienti, che possono dare un contributo importante sotto tantissimi punti di vista; infine è necessario costruire un solido finanziamento per la prevenzione, perché la prevenzione è il must per il futuro e senza risorse da investire non si va da nessuna parte”.