Infezioni ospedaliere, 530 mila l’anno in Italia, una su tre da germi resistenti. Riguardano l’8% dei pazienti ricoverati

Gravano sul Paese con una spesa pari a 783 milioni di euro l’anno. I dati resi noti dagli esperti dell’Università Cattolica, campus di Roma nel corso di “Antimicrobico-resistenza e One Health, sfide attuali e prospettive future”, organizzato da VIHTALI – spin off dell’Università Cattolica, campus di Roma. Dall’evento un decalogo per la lotta a infezioni legate all’assistenza e antibiotico-resistenza

Le infezioni correlate all’assistenza (ICA) sono ogni anno in Italia 530 mila e riguardano l’8% dei pazienti ricoverati in ospedale. Un terzo di esse ha come causa un batterio resistente agli antibiotici con tutti i rischi che ne conseguono, specie per i pazienti più fragili, che sono anche i più colpiti dalle ICA. Le infezioni ospedaliere gravano con una spesa totale di 783 milioni di euro l’anno nel nostro paese. Di questi, 259 milioni di euro sono imputabili alle ICA da batteri resistenti; oltre ai costi diretti, ci sono anche 28 milioni di costi indiretti annui.

Di questa emergenza sanitaria si è parlato in occasione di “Antimicrobico-resistenza e One Health, sfide attuali e prospettive future”, organizzato da VIHTALI – Value in Health Technology and Academy for Leadership and Innovation (spin off dell’Università Cattolica, campus di Roma). L’obiettivo ultimo è promuovere l’identificazione di strategie utili al controllo dell’AMR nel nostro Paese anche in risposta al nuovo Piano nazionale di contrasto all’antimicrobico-resistenza (PNCAR).

“È urgente potenziare la prevenzione e la sorveglianza delle ICA in ambito ospedaliero e comunitario – ha sottolineato Walter Ricciardi ordinario di Igiene Generale e Applicata Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica Università Cattolica, e Presidente del nuovo Osservatorio Nazionale sull’Antimicrobico Resistenza (ONsAR)– promuovendo le vaccinazioni, migliorando l’appropriatezza diagnostica e terapeutica. Bisogna inoltre sviluppare una sorveglianza nazionale coordinata dell’antibiotico resistenza e dell’uso di antibiotici sia in ambito umano che animale e sviluppare un sistema di monitoraggio per quantificare l’impatto che l’AMR ha sull’ambiente. “L’Italia – ha continuato Ricciardi – si muove a due velocità nella lotta alle ICA e alle antibiotico-resistenze: è tempo di armonizzare il Paese, rendendo operative, a livello regionale e ospedaliero, linee guida definite a livello nazionale attraverso la definizione di protocolli evidence-based e di specifici indicatori per il monitoraggio dei piani regionali e l’implementazione dei protocolli a livello ospedaliero, nonché introdurre strumenti di monitoraggio e valutazione a posteriori delle performance”.

È inoltre urgente promuovere la prevenzione vaccinale, implementando azioni per il raggiungimento dei target previsti dal PNPV per le coperture vaccinali delle vaccinazioni dell’età pediatrica, delle popolazioni a rischio e degli anziani (pneumococco, herpes zoster, influenza e in un prossimo futuro anche RSV); e divulgando il valore delle vaccinazioni come uno degli strumenti fondamentali per la lotta all’AMR, ha sottolineato Giovanna Elisa Calabrò, Ricercatore Universitario di Igiene Generale e Applicata del Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica Università Cattolica, campus di Roma e Direttore operativo di VIHTALI , e potenziare i sistemi informativi a livello locale e regionale nonché la loro integrazione tra i diversi professionisti e operatori sanitari al fine di potenziare anche la bi-direzionalità dei flussi informativi (raccolta e restituzione dei dati ai soggetti interessati); e ancora, aggiunge, bisogna Identificare e disporre di strumenti organizzativi e tecnologici adeguati che consentano una rapida presa in carico del paziente e un tempestivo e appropriato trattamento antibiotico.

Un caposaldo della lotta alle infezioni correlate all’assistenza e alle AMR, ha quindi sottolineato Ricciardi, è ogni azione volta a promuovere la ricerca e l’innovazione nella prevenzione (nuovi vaccini), diagnosi (nuovi test diagnostici) e terapia (nuovi antibiotici) delle infezioni resistenti agli antibiotici.

Non da ultimo, ha rilevato Calabrò, bisogna aumentare i livelli di consapevolezza e di informazione/educazione nei professionisti sanitari, nei cittadini e in tutti gli attori del sistema Salute.

 

Impatto economico delle Infezioni correlate all’assistenza (ICA) e delle resistenze agli antibiotici in Italia

In occasione del corso sono stati anche per la prima volta presentati i dati di una analisi recentemente condotta dal Centro di Studi Economici e internazionali (C.E.I.S.) dell’Università di Roma Tor Vergata, un’analisi per stimare l’impatto dell’AMR sul Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in termini di burden epidemiologico a livello ospedaliero e costi correlati, utilizzando data nazionali real world. Le fonti primarie utilizzate per effettuare l’analisi sono state i dati SDO 2010-2021. “Dai risultati dell’analisi emerge che le infezioni ospedaliere gravano con una spesa totale di 783 milioni di euro – ha spiegato Francesco Saverio Mennini, docente di Economia Sanitaria e Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata e Presidente della Società Italiana di Health Technology Assessment (SIHTA), che scorporata per patogeno mostra un delta variabile di impatto di spesa con la Klebsiella spp. che impatta con una spesa pari a 83 milioni di euro, e le infezioni da Pseudomonas Aeruginosa con 17 milioni di euro riflettendosi negativamente e in maniera significativa sul SSN”.

Inoltre se consideriamo l’impatto delle resistenze dei patogeni considerati, i costi diretti correlati alle infezioni ospedaliere resistenti ad antibiotici (AMR) si quantificano in 259 milioni di euro. Oltre ai costi correlati all’infezioni e alle infezioni resistenti, bisogna considerare anche tutti i costi indiretti come la perdita di produttività a causa della malattia del paziente, costi previdenziali e sociali che ammontano ad un totale di 28 milioni di euro considerando tutti i patogeni inclusi nell’analisi.

 

Infezioni correlate all’assistenza: lo scenario europeo

Secondo l’ultimo rapporto dell’ECDC, ogni anno a livello europeo, si verificano 4,5 milioni di infezioni ospedaliere e altrettante in strutture di lungodegenza e domiciliare per un totale di 8,9 milioni di casi ogni anno e oltre 37.000 decessi a cui si aggiungono circa 110.000 decessi per i quali l’infezione è una concausa. Molte di queste infezioni colpiscono soprattutto gli over 65 (63,7% del totale), individui più fragili e maggiormente esposti al fenomeno dell’AMR, causa diretta del decesso del paziente nell’1% dei casi.

Le infezioni correlate all’assistenza (ICA) hanno un impatto clinico ed economico rilevante: sono responsabili di un prolungamento della durata di degenza (circa 16 milioni di giornate di degenza in più a livello europeo), di un aumento della resistenza dei microrganismi agli antibiotici e di una significativa mortalità e provocano disabilità a lungo termine, con un impatto economico diretto e indiretto significativo sia per il sistema che per i pazienti e le loro famiglie, pari a oltre 7 miliardi di euro a livello europeo.

Circa una ICA su 3 è generata da batteri resistenti: i microrganismi più frequentemente isolati sono i batteri gram-negativi, tra cui Klebsiella pneumoniae (13,4%) ed Escherichia coli (12,8%); le infezioni più frequenti sono le infezioni respiratorie, che da sole rappresentano il 24% di tutte le infezioni ospedaliere, seguite da quelle del tratto urinario (21%), del sito chirurgico (6%) e del sangue (6%): oltre 3 ICA su 4 si trovano in queste sedi. La prevalenza delle ICA negli ospedali per acuti è pari all’8%, con elevata variabilità per reparto ospedaliero (dal 22,9% della terapia intensiva all’1,3% della psichiatria). In queste strutture, il 63,7% delle ICA colpisce le fasce d’età sopra i 65 anni e più del 65% dei pazienti con degenza superiore alla settimana. Nelle strutture di assistenza socio-sanitaria extra-ospedaliera, la prevalenza delle ICA è del 3,9%: studi mostrano come l’80,9% delle ICA sia associato alla struttura assistenziale in cui si è riscontrata l’infezione, l’11,9% a un ospedale e l’1% a un’altra struttura di assistenza socio-sanitaria (il 6,2% resta di origine sconosciuta).

Secondo alcuni studi, il 50% delle ICA potrebbe essere prevenuto grazie all’adozione di adeguati sistemi di sorveglianza e di programmi di prevenzione. Secondo uno studio dell’OCSE del 2018, misure semplici, come la promozione dell’igiene delle mani e il miglioramento dell’igiene ambientale nelle strutture di assistenza sanitaria e sociosanitaria, potrebbero evitare in Italia 10 morti per AMR ogni 100.000 persone; l’igiene delle mani è l’intervento di antimicrobial stewardship più costo-efficace, che permette di risparmiare molte vite umane e risorse economiche, sia nelle strutture ospedaliere (1.000 giorni di degenza evitati all’anno ogni 100.000 persone) che sul territorio.

 

La situazione italiana

Le infezioni correlate all’assistenza rappresentano un’enorme minaccia per la salute pubblica. Ogni anno si verificano in Italia circa 530.000 casi di infezioni ospedaliere (l’8% di tutti i pazienti ricoverati), di cui circa un terzo è generato da batteri resistenti. La proporzione di infezioni resistenti agli antibiotici è cresciuta dal 17% nel 2005 al 30% nel 2015 e potrà raggiungere il 32% nel 2030 se il consumo di antibiotici e la crescita demografica dovessero continuare a seguire il trend degli ultimi anni.

Tra i batteri Gram-negativi, nel 2021, il 33,1% degli isolati di K. pneumoniae e l’8,8% degli isolati di E. coli sono risultati multi-resistenti (resistenti a cefalosporine di III generazione, aminoglicosidi e fluorochinoloni). Nel 2021 l’incidenza dei casi segnalati è stabile rispetto al 2020 ed in linea con il triennio 2016-2018. Tuttavia, persistono segnali di sotto-notifica in alcune Regioni. All’interno del territorio italiano, gli ultimi dati disponibili mostrano come i livelli di antibiotico-resistenza e di multi- resistenza nelle specie batteriche sotto sorveglianza siano ancora elevati in molte Regioni italiane, evidenziando un forte gradiente Nord-Sud. Le difformità regionali sono determinate da una serie di fattori e disomogeneità nell’applicazione di politiche di contrasto dell’AMR e nel differente livello di consumo di antibiotici, ma anche nei sistemi di sorveglianza e monitoraggio delle infezioni antibioticoresistenti.

In particolare, la variabilità più ampia sul territorio nazionale si registra per la Klebsiella Pneumoniae resistente ai carbapenemi, la cui intensità di resistenza passa dal 3,1% della Provincia Autonoma (P.A.) di Trento al 60% della Sicilia, e per l’Enterococcus faecium resistente alla vancomicina (VRE-faecium), in cui le resistenze passano dal 7,1% della P.A. di Bolzano al 62,5% del Molise, senza una netta differenziazione per aree geografiche.

Per quanto riguarda le caratteristiche dei pazienti con infezione invasiva da patogeni sotto sorveglianza, si tratta per la maggior parte di uomini (58,5%) e con più di 65 anni di età (68%). Dal punto di vista dell’area di ricovero, il maggior numero di isolati è pervenuto dall’area Specialità medica (42,3%), seguita da Emergenza (22,5%) e dalla Terapia intensiva (17,7%).

 

Le resistenze agli antibiotici in Italia – L’AMR, pur essendo un fenomeno naturale, è accelerato da alcuni fattori, tra cui il consumo eccessivo e inappropriato di antibiotici, oltre a condizioni igieniche e misure di controllo delle infezioni inadeguate. L’Italia continua ad essere tra i Paesi europei con il maggior consumo di antibiotici erogati dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN) in regime di assistenza convenzionata (dalle farmacie pubbliche e private) e acquistati dalle strutture sanitarie pubbliche, anche se negli ultimi 8 anni si è assistito a una graduale riduzione del consumo (tasso di crescita annuale composto pari a -5,8%), con valori che sono passati da 19,7 DDD/1.000 abitanti nel 2014 a 13,0 DDD (dose giornaliera definita)/1.000 abitanti die nel 2021, valore pari a circa l’80% di tutte le dosi erogate a livello nazionale.

Infatti, se nel 2021 il consumo medio di antibiotici nei Paesi UE è stato di 15,01 dosi giornaliere ogni 1.000 abitanti (con l’Austria che ha registrato il valore più basso, 7,21 DDD/1000 abitanti), l’Italia si pone sopra la media UE (decimo posto, 15,99 DDD/1000 abitanti), spiega il dottor Alessandro Solipaca, Direttore dell’Osservatorio Nazionale sull’Antimicrobico Resistenza (ONsAR) e Direttore Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane dell’Università Cattolica. Il nostro Paese, aggiunge, rispetto al resto d’Europa, ha evidenziato un maggior ricorso ad antibiotici ad ampio spettro, che hanno un impatto più elevato sullo sviluppo della resistenza antimicrobica. Il rapporto tra il consumo di molecole ad ampio spettro rispetto a quello a spettro ristretto è per l’Europa 3,7, mentre per l’Italia è pari a 13,2.

A livello regionale, il consumo varia dai 7,6 DDD/1.000 abitanti die della P.A. di Bolzano ai 19,1 DDD/1.000 abitanti die della Campania: come negli anni precedenti, ad eccezione della Sardegna, tutte le Regioni del Mezzogiorno riportano livelli di consumo superiori alla media italiana.

In particolare, sottolinea Solipaca, si osserva una elevata variabilità territoriale: al Sud il consumo di antibiotici è del 75% maggiore rispetto al Nord e del 28% maggiore rispetto al Centro. Inoltre, la spesa pro capite per antibiotici è al Sud di 11,02 euro, più del doppio rispetto al Nord (5,15 euro).

E ancora, il consumo di molecole ad ampio spettro in rapporto a quello a spettro ristretto nel 2021 è pari a 2,7 al Nord, 6,3 al Centro e 10,4 al Sud.

Bisogna anche sottolineare che continua l’aumento dell’acquisto privato di antibiotici di fascia A; nel 2021 si osserva infatti un aumento dei consumi (+6,6%) e della spesa pro capite (+9,8%) a carico del cittadino.

Sono tutti dati che conferiscono all’Italia la “maglia nera” tra tutti i Paesi Europei per quanto riguarda l’AMR e la gestione delle ICA.

 

 

Il decalogo per la lotta all’antibiotico-resistenza

 

  1. Adottare un approccio “One Health”, cioè un approccio integrato che comprenda la salute di esseri umani, animali, piante ed ecosistemi, promuovendo, quindi, la collaborazione di più discipline professionali (medicina umana e veterinaria, settore agroalimentare, ambiente, ricerca e comunicazione, economia ecc), promuovendo il valore della prevenzione in tutti i settori della salute (umana, animale e ambientale) e un uso appropriato degli antibiotici.
  2. Sviluppare una sorveglianza nazionale coordinata dell’antibiotico resistenza e dell’uso di antibiotici sia in ambito umano che animale e sviluppare un sistema di monitoraggio per quantificare l’impatto che l’AMR ha sull’ambiente.
  3. Potenziare la prevenzione e la sorveglianza delle ICA in ambito ospedaliero e comunitario.
  4. Promuovere, grazie alla stewardship antimicrobica, l’appropriatezza diagnostica e terapeutica, sia a livello ospedaliero sia territoriale, attraverso la definizione di protocolli evidence-based. I protocolli dovranno essere aggiornati periodicamente prevedendo l’inserimento dei nuovi antibiotici e il potenziamento dell’utilizzo di nuovi strumenti di diagnostica in vitro (Diagnostica rapida e real time).
  5. Promuovere la prevenzione vaccinale, implementando azioni per il raggiungimento dei target previsti dal PNPV per le coperture vaccinali delle vaccinazioni dell’età pediatrica, delle popolazioni a rischio e degli anziani (pneumococco, herpes zoster, influenza e in un prossimo futuro anche RSV); e divulgando il valore delle vaccinazioni come uno degli strumenti fondamentali per la lotta all’AMR.
  6. Potenziare i sistemi informativi a livello locale e regionale nonché la loro integrazione tra i diversi professionisti e operatori sanitari al fine di potenziare anche la bi-direzionalità dei flussi informativi (raccolta e restituzione dei dati ai soggetti interessati);
  7. Rendere operative, a livello regionale e ospedaliero, linee guida definite a livello nazionale attraverso la definizione di protocolli evidence-based e di specifici indicatori (KPI) per il monitoraggio dei piani regionali e l’implementazione dei protocolli a livello ospedaliero, nonché introdurre strumenti di monitoraggio e valutazione ex post delle performance in funzione di KPI definiti, necessari per guidare le politiche e i programmi di “stewardship antimicrobica a livello ospedaliero.
  8. Identificare e disporre di strumenti organizzativi e tecnologici adeguati che consentano una rapida presa in carico del paziente e un tempestivo e appropriato trattamento antibiotico.
  9. Promuovere la ricerca e l’innovazione nella prevenzione (nuovi vaccini), diagnosi (nuovi test diagnostici) e terapia (nuovi antibiotici) delle infezioni resistenti agli antibiotici.
  10. Aumentare i livelli di consapevolezza e di informazione/educazione nei professionisti sanitari, nei cittadini e in tutti gli attori del sistema Salute.

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