Anche oltralpe il medico è un professionista stanco per un carico di lavoro eccessivo, per una professione svilita nel suo ruolo sociale, per la mancanza di crescita e soddisfazione professionale e di una via di fuga intesa come cambiamento di luogo di lavoro, per una retribuzione economica insoddisfacente rispetto all’impegno e alla fatica vissuti giornalmente.
Questo l’identikit del medico europeo che emerge dell’indagine Anaao-Fems (Federazione Europea Medici Salariati) condotta da Alessandra Spedicato, Capo delegazione Anaao Assomed nella Federazione su 12 paesi: Austria – Cipro – Croazia – Francia – Germania – Italia – Portogallo – Romania – Slovenia – Slovacchia – Spagna – Svezia.
In totale hanno risposto 13.461 medici di cui 7447 donne e 6014 uomini. È interessante notare come le donne abbiano risposto in maggioranza in tutti i paesi tranne che in Germania (dove la maggioranza è stata dell’86% maschile con 180 uomini – 30 donne), in Italia (leggerissima maggioranza: 1642 uomini – 1640 donne) e in Romania (leggera maggioranza: 6 uomini – 5 donne).
“Questa indagine, la prima nel suo genere a livello europeo, ha un significato che va ben oltre l’assegnazione di un palmarès a paesi virtuosi quali Germania, Austria e Svezia, commenta Alessandra Spedicato. Piuttosto va segnalato come anche alle mediche e ai medici europei rimane una sola possibilità, e cioè il licenziamento, una scelta ben evidenziata dal recente studio Anaao sul fenomeno della Great Resignation.
Il servizio nella struttura dove si lavora è giudicato soddisfacente ma quasi ovunque il servizio stesso è peggiorato negli ultimi 10 anni e questo è dovuto principalmente agli eccessivi carichi di lavoro per mancanza di personale.
Se vogliamo però c’è un’isola felice rappresentata da tre paesi Germania, Svezia e Austria dove la possibilità di crescita professionale è buona, la retribuzione è considerate soddisfacente, buona la formazione, facile la possibilità di passare dalla dipendenza alla libera formazione”.
I RISULTATI DELL’INDAGINE
Quella del medico è considerata innanzitutto una professione indispensabile, ma al contempo faticosa e frustrante. È invece gratificante per due realtà del nord Europa: Svezia e Germania. In Romania l’aggettivo prevalente è affascinante.
La qualità dei servizi offerti dalle strutture sanitarie del proprio Paese è valutata dal 50% dei medici poco soddisfacente, mentre la qualità dei servizi offerti dagli ospedali del proprio paese è soddisfacente al 75%, dato che arriva all’84% se si parla degli ospedali della propria regione, mentre il gradimento verso la qualità offerta dai servizi extra ospedalieri del proprio Paese scende al 59%. La qualità dei servizi offerti dal SSN dei differenti paesi è stata usata come barometro della eventuale possibilità di crescita professionale dei singoli.
Negli ultimi 10 anni, la qualità dei servizi nelle strutture sanitarie del proprio Paese è percepita come peggiorata 59% (Austria, Germania, Portogallo, Italia, Francia, Svezia, Spagna), nazioni che sono anche tra le più popolose tra tutte quelle che hanno partecipato al sondaggio. Invece per i medici di Slovenia, Slovacchia e Croazia la qualità è invariata, mentre a Cipro e in Romania i servizi sono migliorati. È curioso il dato che, anche in paesi che hanno investito e continuano a investire in sanità (Svezia, Germania, Austria, Francia) vi sia la percezione di un peggioramento della qualità dei servizi sanitari offerti. Un’ipotesi, confermata parzialmente dai risultati globali della survey, è che sia peggiorato il lavoro medico e, in conseguenza, l’attitudine alla cura e le possibilità di esprimere la propria professionalità.
Il giudizio sulla qualità dei servizi nella struttura dove si lavora non è positivo. Per il 58% dei medici la qualità è peggiorata (Croazia, Germania, Portogallo, Italia, Francia e Spagna). È migliorata invece per il 17% (Slovenia, specie nella fascia d’età over 60 e in Slovacchia), è rimasta infine uguale in Svezia, Romania e Cipro.
Tra le principali cause del peggioramento, laddove è riscontrato, la risposta più frequente (83%) è dovuta ai carichi eccessivi di lavoro per mancanza di personale (a denunciarlo sono principalmente le donne); quindi scarsi investimenti nelle strutture 41%; sempre al 41% la dirigenza influenzata dalla politica e infine le retribuzioni inadeguate 33%. Il tema dei carichi di lavoro è un tema che ricorre frequentemente nella indagine, affermandosi come elemento necessario di iniziative sindacali.
Le possibilità di crescita professionale sono considerate poche dal 58% del campione ad affermarlo sono specialmente le donne (57%). Viceversa un 25% di medici (in particolare Svezia, Germania e Austria) le possibilità di crescita professionale sono considerate abbastanza e questo almeno in parte potrebbe spiegare la forte attrattività che hanno questi paesi, specie la Germania, per i giovani delle altre realtà europee.
Restando nell’ambito professionale le possibilità di veder riconosciuta la propria professionalità nella struttura sanitaria in cui si lavora sono ritenute poche dal 66% del campione (il 25% tra questi sono i più giovani); il restante 34% risponde abbastanza a questo gruppo appartengono Germania, Austria e Svezia. È necessario chiedersi se il declino del riconoscimento sociale e professionale del medico sia da attribuire al disinvestimento politico in questo settore, alla femminilizzazione della professione o alla diminuzione del senso di appartenenza alla categoria professionale e all’ordine professionale di appartenenza.
È stato quindi chiesto di dare un giudizio su un aspetto (tra i dodici presentati) che incide sulla qualità dei servizi sanitari. Per il 58% i carichi di lavoro sono troppo pesanti per mancanza di personale; successivamente un altro aspetto che incide sulla qualità dei servizi sanitari sono le retribuzioni inadeguate (33%), infine c’è un 9% che ritiene che nella qualità dei servizi incidono negativamente gli scarsi investimenti nelle strutture.
Andando a indagare in maniera più articolata il livello di soddisfazione economica, professionale e di benessere nel posto di lavoro possiamo affermare che: il 92% dei partecipanti non ritiene che il compenso economico sia adeguato all’impegno richiesto al medico dipendente (con unica eccezione, la Germania) che per il 50% lavorare in una struttura sanitaria significa rinunciare alla vita privata; che il 41% pensa che il ruolo svolto dal medico dipendente ha uno scarso riconoscimento a livello sociale; altrettanto scarso è il coinvolgimento dei medici dipendenti nella politica sanitaria e di gestione (50%); mentre il 59% vive come troppo forte la dipendenza del singolo medico dalle gerarchie professionali e amministrative; e infine per il 66% del campione molte norme finalizzate a migliorare la sicurezza e la qualità delle cure sono in realtà strumenti volti a ridurre i costi.
Come viene valutata la propria retribuzione? È poco soddisfacente per il 66% dei medici europei (il 90% delle donne medico europee intervistate ritiene la propria retribuzione inadeguata) mentre i medici tedeschi coerentemente con quanto affermato in precedenza si dichiarano soddisfatti, così come gli svedesi e gli austriaci. A questi si aggiungono i croati.
Il 58% si giudica soddisfatto del proprio lavoro di medico dipendente ma se andiamo ad analizzare nel dettaglio diversi aspetti della soddisfazione, ci accorgiamo che quadro non è confortante, anzi. Emerge che il medico è insoddisfatto (57%) dei carichi di lavoro; ma è soddisfatto (59%) delle prospettive lavorative; mentre se parliamo di prospettive di carriera il 58% confessa la propria insoddisfazione; l’organizzazione del lavoro scontenta quasi tutti (75%); così come la flessibilità lavorativa (75%). Discorso a parte il part time dove il 66% è equanimemente diviso tra soddisfazione (33%) e insoddisfazione (33%); Su aggiornamento e formazione l’insoddisfazione è al 58%, così come sulla qualità delle strutture sanitarie (58%). Tiepidi anche i rapporti con la dirigenza il 50% del campione esprime insoddisfazione. Ottimo invece infine il rapporto con i pazienti (83% di soddisfazione) e il livello di dotazioni tecnologiche (58%)
Sulla possibilità di conciliare vita e lavoro il 66% si dichiara insoddisfatto.
E tra gli aspetti della vita privata a cui la professione costringe a rinunciare emergono principalmente lo svago e gli hobby (75%), la famiglia, specie per le donne (16%) e le vacanze (9%).
Il blocco di quesiti riguardanti la possibilità di cambiare ospedale, funzioni, reparto fino al passaggio alla libera professione ci fa sapere che al 41% è difficile cambiare struttura, tranne che in Germania, Austria e Svezia. Che è ancora più difficile cambiare tipo di lavoro o funzioni (67%) ma è meno difficile cambiare reparto (50%) mentre è abbastanza facile passare da dipendente a libero professionista (41%).
I rapporti di lavoro con i colleghi sono ovunque riconosciuti molto più che buoni: come clima di lavoro (84%); a livello di collaborazione (91%); a livello di amicizia (75%).
EMERGENZA DA COVID-19
Sul tema due sono state le domande: in che maniera si ritiene che il sistema sanitario del suo Paese abbia risposto di fronte all’emergenza Covid-19; in che maniera la struttura dove lavora ha risposto all’emergenza.
Relativamente al primo quesito il 50% del campione ha riferito che la risposta è stata abbastanza adeguata e tra questi ci sono i medici italiani, mentre il 42%, e tra questi ci sono i medici spagnoli, ha definito inadeguata la risposta.
Relativamente al secondo quesito l’83% è tiepido ritenendo che la struttura dove lavora ha risposto all’emergenza in maniera abbastanza adeguata.
Durante l’emergenza Covid-19 il 75% dei medici europei ritengono di aver svolto con il proprio lavoro un ruolo importante però allo stesso tempo questo lavoro per il 50% è stato poco valorizzato. Infine il 66% denuncia che le loro opinioni siano state prese poco in considerazione nel processo decisionale.
Le dotazioni di DPI durante la pandemia sorprendentemente il 75% riferisce che il personale sanitario è stato dotato di dispositivi in maniera adeguata ad affrontare l’emergenza. Viene da chiedersi se i medici europei abbiano dimenticato, in virtù di un evidente fenomeno di rimozione del trauma, i momenti iniziali e drammatici della pandemia dove la scarsità di risorse ha fatto da padrone.
Infine cosa ha insegnato la pandemia e quali gli aspetti da migliorare nel caso di nuova emergenza: più medici, più infermieri, più PL in terapia intensiva, potenziamento dei servizi medici extra ospedalieri, più prevenzione, più investimenti nelle strutture, più investimenti nella formazione, più investimenti nella ricerca.
La richiesta prevalente 75% è rivolta in maggiori investimenti in prevenzione. Poi il 41% crede necessario aumentare il numero dei posti letto in terapia intensiva, quindi investimenti in strutture 25% e infine potenziare i servizi di medicina extra-ospedaliera.
QUALI SOLUZIONI DAL SINDACATO?
“E’ nostro dovere – conclude Alessandra Spedicato – lavorare sugli elementi emersi e cercare soluzioni organizzative che diano risposte all’insoddisfazione dei medici. In un momento socio economico di difficoltà, è necessario pensare anche in termini di isorisorse e dunque immaginare:
- una RI-definizione dei carichi di lavoro che tenga in considerazione i nuovi bisogni di salute della popolazione, l’invecchiamento della stessa, le patologie emergenti, la burocratizzazione delle procedure di assistenza;
- ergonomia degli spazi di lavoro e del processo lavorativo (personale amministrativo di reparto);
- favorire la mobilità sanitaria e incentivare gli ospedali e i territori che soffrono di una maggiore fuga dei professionisti sanitari a mettere in atto politiche positive di incentivazione;
- coinvolgere la politica e gli ordini dei medici ad una valorizzazione del ruolo sociale e professionale del medico. La depenalizzazione dell’atto medico sarebbe, ad esempio, un importante segnale di cambiamento a conferma che i professionisti che si adoperano per curare la società, non possono da questa essere puniti
defiscalizzare la retribuzione accessoria in modo da incrementare il salario netto”.