Nei due anni dallo scoppio della pandemia, la sanità italiana ha attraversato più cambiamenti che nel resto della sua storia, dimostrando grandi doti di flessibilità. Ora deve fare leva su questa esperienza per razionalizzare, e non razionare, i servizi
Il Sistema Sanitario Nazionale ha attraversato a ritmo frenetico, da febbraio 2020 a oggi, più cambiamenti che in ogni altro periodo della sua esistenza. Secondo il Rapporto OASI 2021 (Osservatorio sulle Aziende e sul Sistema sanitario Italiano), presentato il 18 novembre in SDA Bocconi School of Management, da febbraio 2020 si possono distinguere quattro “epoche”, caratterizzate da finalità e modalità organizzative diverse.
Il SSN è entrato nella pandemia quando era ancora nell’epoca del contenimento della spesa. “A febbraio 2020, il nostro SSN registrava una delle spese sanitarie pro capite più basse dell’Europa occidentale, con un tasso di crescita della spesa sanitaria pubblica prossimo a zero se depurato dell’inflazione e con i disavanzi regionali azzerati o molto ridotti”, ha ricordato Francesco Longo, responsabile scientifico del Rapporto, docente Bocconi e ricercatore del CERGAS, il Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale.
Nella seconda epoca, avviata a marzo 2020, quando il contrasto alla pandemia è diventato l’obiettivo totalizzante, i vincoli di spesa sono saltati, tanto che nel 2020 la spesa sanitaria è aumentata di circa 6 miliardi (+5%) e il sistema ha scoperto doti di flessibilità fino ad allora inesplorate. “Nel corso del 2020 e dei primi mesi del 2021, la percentuale di posti letti dedicati al COVID ha oscillato a fisarmonica dal 5 all’80%. La flessibilità ha riguardato anche i profili del personale reclutato, con il consistente impiego di medici pensionati e medici non specializzati; le forme contrattuali, con una prevalenza di tempo determinato e libera professione; le modalità organizzative, pensiamo alla costituzione delle USCA” ha ricordato Alberto Ricci, coordinatore del Rapporto OASI.
La progressiva trasformazione del COVID da emergenza in situazione endemica e sufficientemente controllata ha condotto alla terza epoca. Con la diminuzione della pressione ospedaliera è subentrata l’esigenza di recuperare l’enorme ritardo accumulato nella produzione di servizi per pazienti non COVID, in ogni ambito. Gli elementi di facilitazione sono stati la cultura e l’esperienza della flessibilità sperimentate del periodo COVID, assieme a una quota di risorse aggiuntive straordinarie, dedicate dal governo al recupero delle liste d’attesa. Un altro fattore facilitante è stato l’incremento del personale.
La quarta epoca, in pieno svolgimento, è quella della costruzione del portafoglio di progetti finanziabili con il PNRR. Si è lavorato e si lavora sul futuro, con la prospettiva di impattare sui servizi realmente erogati a 3-5 anni. Un orizzonte opposto rispetto alla fase acuta dell’epidemia, in cui si ragionava sull’urgenza immediata, con orizzonti temporali a pochi giorni.
“L’errore più grande”, ha detto Ricci, “sarebbe quello di cercare di potenziare i servizi in maniera lineare con gli stessi modelli di servizio del passato, confidando in una crescita continua delle risorse”. In realtà si prevede che le risorse messe a disposizione della sanità raggiungano il massimo storico di 129 miliardi quest’anno, per poi diminuire molto lentamente. L’Italia ha raggiunto il 156% di debito pubblico sul PIL e le esigenze di rientro impediranno, molto probabilmente, di allineare la nostra spesa sanitaria (prevista nei prossimi anni intorno al 6,5% del PIL) a quella di Paesi come Francia e Germania, storicamente intorno al 9%.
Una volta superata la fase emergenziale, inoltre, i bisogni di salute, dettati dai cambiamenti demografici ed epidemiologici, continueranno ad evolvere secondo lo stesso trend mostrato negli ultimi anni. L’ISTAT stima che al 2040 la popolazione over 65 raggiungerà i 19 milioni, pari al 32% dei residenti totali (59,3 mln). “I problemi con cui confrontarsi saranno cronicità, non-autosufficienza, riabilitazione, pazienti fragili”, riassume Ricci, “con la potenziale complicazione degli effetti del cosiddetto long COVID, ancora difficili da valutare”.
A fronte degli “inevitabili vincoli relativi alle risorse, però”, ha concluso Longo, “la strada non dovrà essere quella dei razionamenti, ma della razionalizzazione. La sfida sarà quella di sostituire i tagli con processi profondi di riallocazione, riorganizzazione del lavoro e ridisegno delle forme dei servizi. La motivazione profonda è che, a parità di risorse disponibili, la domanda di salute non solo aumenta, ma cambia assieme al contesto demografico e sociale”.
Sarà importantissimo il ruolo dei manager delle aziende sanitarie, che dovranno lavorare sul territorio, comprendendo volta per volta come implementare gli indirizzi regionali. Rispetto al recente passato, accanto alle capacità tecniche e di leadership interna, sarà più rilevante il loro ruolo di stakeholder manager rispetto alle istanze della politica e degli attori locali (comuni, associazioni e sindacati professionali, terzo settore).
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