Riportiamo di seguito il documento elaborato da numerose società scientifiche
L’emergenza COVID ha mostrato tutti i limiti del nostro Sistema Sanitario; esplosa con la prima ondata che ha colto tutti impreparati, evidenziando la carenza di posti letto di terapia intensiva e di degenza ordinaria e del numero complessivo di specialisti applicati agli ospedali italiani nonché dei finanziamenti complessivi al sistema Sanitario Nazionale, parametri tutti inferiori rispetto ai valori medi europei ed enormemente più bassi rispetto ai Paesi di maggiore rilevanza (Francia, Germania, Inghilterra, ecc). La Sanità Italiana negli ultimi decenni è stata falcidiata da tagli trasversali irrazionali ed irresponsabili. Evidentemente tutti questi fattori sono stati determinanti nel favorire il tracollo delle attività ospedaliere in conseguenza della pandemia.
Tale crisi si è poi acuita con la seconda e terza ondata, durante le quali le carenze accumulatesi nel corso di anni hanno determinato un ulteriore peggioramento della situazione sanitaria del Paese. Di fatto il nostro Paese ha registrato finora quasi 130.000 morti per COVID pari al 2.82% rispetto ai contagi e 0,22% rispetto alla popolazione, dati che ci collocano al secondo posto in entrambe le classifiche ed ai primissimi posti in campo mondiale. Si aggiunge sin d’ora anche il dato nel nostro Paese dell’aumento della mortalità per malattie tempo-dipendenti (prevalentemente cardiovascolari) ed a breve comincerà a registrarsi l’inizio dell’aumento della mortalità per tumori sulla cui entità non è possibile fare previsioni e che purtroppo persisterà per alcuni anni.
• Nel 2020 oltre 1,3 milioni i ricoveri in meno rispetto al 2019; saltati anche i ricoveri urgenti: -554.123.
• Riduzione dell’80% dell’attività chirurgica elettiva e fino al 35% di quella in urgenza: tra questi molti interventi chirurgici per tumore. Inoltre Chirurgia Generale, Otorinolaringoiatria e Chirurgia Vascolare sono state le aree particolarmente interessate dal calo delle prestazioni.
• Riduzioni importanti quindi anche in ambito oncologico. I ricoveri di chirurgia oncologica hanno visto una contrazione vistosa ed una diminuzione di (circa l’80%) dell’attività chirurgica elettiva tra i quali molti interventi di chirurgia oncologica. Ridotti anche del 15% i ricoveri per radioterapia e del 10% quelli per chemioterapia.
• Nell’ambito cardiovascolare il calo è stato di circa il 20% (impianti di defibrillatori, pacemaker ed interventi cardiochirurgici rilevanti).
• Anche i ricoveri per la gestione del paziente cronico hanno visto una forte contrazione. La stima, basata anche sui recenti dati AGENAS, è che i ricoveri in area medica (in gran parte riconvertita e dedicata ai ricoveri dei pazienti COVID) per i pazienti cronici complessi e con riacutizzazione, si sia ridotta di circa 600.000 rispetto all’anno 2019.
• La specialistica ambulatoriale ha visto una contrazione di 144,5 milioni di prestazioni: circa 90 milioni di prestazioni in meno di laboratorio, 8 milioni in meno di prestazioni di riabilitazione, 20 milioni di prestazioni di diagnostica.
• Gli screening oncologici per la prevenzione dei tumori hanno subito numerose cancellazioni e ritardi, e non sono al momento disponibili dati relativi all’entità del loro eventuale recupero. Dal punto di vista clinico già da mesi si osservano con una certa frequenza neoplasie più avanzate alla prima diagnosi rispetto al passato, ed è prevista già nei prossimi mesi una impennata nella mortalità per tumori nel nostro Paese. L’ultimo rapporto sui ritardi accumulati dai programmi di screening risale al 31 dicembre 2020, stilato dall’Osservatorio Nazionale Screening. Non sono stati pubblicati dati più aggiornati riguardo al recupero di questi screening nel 2021.
Per quanto riguarda lo screening per i tumori della cervice sono state 1.279.608 le donne in meno contattate nel 2020 rispetto al precedente anno, per una contrazione del 33%; gli screening cervicali effettivamente realizzati sono stati 669.742 in meno (-43.4%); le lesioni pre-neoplastiche diagnosticate sono state quindi 2.782 in meno.
Per lo screening dei tumori della mammella sono state contattate nel 2020 980.994 donne in meno rispetto al 2019 (-26.6%); le mammografie effettuate sono state 751.879 in meno (-37.6%); i carcinomi diagnosticati sono stati quindi 3.324 in meno rispetto all’anno precedente.
Anche lo screening per i tumori del colon-retto ha subito una contrazione: sono stati invitati 1.929.530 soggetti in meno rispetto al 2019 (-31.8%), effettuate 1.110.414 colonscopie in meno (-
45.5%), e sono state diagnosticate quindi 7.474 lesioni pre-cancerose in meno.
• Il numero complessivo di posti letto ordinari per 100 mila abitanti è molto più basso rispetto alla media europea (314 vs 500) e ci colloca al 22esimo posto tra tutti i Paesi europei. Anche per i posti letto in terapia intensiva il nostro Paese non brilla: se in era pre-Covid avevamo 8.6 posti ogni 100 mila abitanti, con l’emergenza sanitaria sono stati aumentati a 14, sebbene solo una piccola parte risulterebbe poi stata effettivamente attivata, e comunque parliamo di numeri inferiori rispetto ad esempio alla Germania (33 posti letto ogni 100mila abitanti).
• Gli operatori sanitari inoltre sono inadeguati per la popolazione in Italia: i medici specialisti ospedalieri sono circa 130 mila, 60 mila unità in meno della Germania e 43 mila in meno della Francia; gli infermieri sono nettamente inferiori a quelli di altri Paesi: 7 ogni 1000 abitanti contro 11 della Francia e 13 della Germania.
• Anche per le spese sanitarie correnti l’Italia è tra i fanalini di coda in Europa. Secondo i dati Eurostat l’Italia spende solo l’8.8% del suo PIL per la Sanità, di cui circa 1.5/2 punti sono rappresentati dai contributi alla spesa dei privati cittadini, mentre Paesi come Francia e Germania superano l’11%. Inoltre la spesa sanitaria corrente per abitante è stata stimata in Italia intorno a 2.500 euro, contro i 5.100 euro della Svizzera, i 4.100 della Germania e i 3.800 di Francia e Regno Unito. Il Recovery Plan prevede di riservare solo l’8.3% dei fondi alla sanità (18.5 miliardi su 222): 7 miliardi sono per il potenziamento dell’assistenza sanitaria territoriale, 8.6 miliardi (3.9%) per l’aggiornamento tecnologico degli ospedali e la ricerca scientifica. Questo non basta.
Circa il 67% delle risorse stanziate nel 2020 per il recupero delle prestazioni non sono state spese dalle Regioni. L’accantonamento delle risorse è stato pari al 96% nelle Regioni meridionali e insulari, circa il 54% al Nord e il 45% al Centro.
Il Governo sta provando a fornire una risposta a questa situazione attraverso il recente Decreto-Legge 25 maggio 2021, n. 73 “Misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali”, che prevede il recupero da parte delle Regioni delle prestazioni non erogate durante il 2020 e l’utilizzo delle risorse stanziate ma in gran parte ancora non impegnate. Ma il finanziamento di questa misura da solo non basta più.
Con la diffusione dei vaccini e con l’auspicabile prossimo ritorno alla normalità, pur nell’attuale incognita dovuta allo sviluppo della variante Delta del virus, si pone l’assoluta necessità di ridisegnare il Sistema Sanitario Nazionale anche sulla base delle carenze emerse durante la pandemia ed utilizzando i fondi cospicui anche se insufficienti che arriveranno con il Recovery Fund. A questo riguardo è da segnalare come quanto attribuito alla Sanità e cioè soltanto l’8% dell’intero fondo è da considerarsi davvero poco se si considera che questo provvedimento finanziario assolutamente straordinario è stato determinato proprio da una catastrofe sanitaria.
I Paesi che hanno un meccanismo assicurativo sociale riescono ad aggiustare abbastanza agevolmente e rapidamente i loro meccanismi di governance nel periodo pandemico e post pandemico, mentre invece quelli in maggiore difficoltà sono i grandi servizi sanitari nazionali (Italia, Spagna, UK). La frammentazione decisionale tra Stato e Regioni nel nostro Paese inoltre non aiuta in tal senso. L’ultimo Patto della Salute risale a dicembre 2019, poi la pandemia da Covid ha bloccato il piano di riforme, ma al contempo ha sottoposto il SSN a un importante stress test. Il fondo sanitario è ora aumentato di soli 6 miliardi grazie al Recovery Plan, ma serve la garanzia di maggiori finanziamenti e programmazione a medio e lungo termine.
E’ stata istituita la cabina di regia con Ministero della Sanità, Agenas e rappresentanti delle Regioni, per scrivere decreti di ammodernamento e riorganizzazione degli ospedali, del territorio e delle RSA. Per gli ospedali si va verso la conferma della logica di Hub e Spoke (DM70) ridefinendo meglio le reti assistenziali e chiudendo i piccoli ospedali, che saranno sostituiti da nuove strutture del territorio: gli ospedali della comunità, gestiti prevalentemente da infermieri e parzialmente da medici, e che dovrebbero alleviare la gestione degli ospedali assorbendo le piccole patologie. Ma su questo tipo di provvedimenti la comunità medico-scientifica ha già dichiarato la sua contrarietà.
E’ stato anche emanato dalla Conferenza Permanente Stato-Regioni il documento di proposta sui requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per l’accreditamento delle cure domiciliari volto a rafforzare l’offerta sanitaria e sociosanitaria territoriale, di cui i servizi domiciliari costituiscono una componente cruciale. L’accertamento di tali criteri sarà alla base degli accordi convenzionali che le Regioni stipuleranno con organizzazioni in gran parte private per lo svolgimento di questi servizi. I finanziamenti relativi a queste attività graveranno presumibilmente sui fondi di cui alla missione M6C1 del PNRR.
In queste ultime settimane si sono appunto moltiplicati gli interventi di molteplici clinici ed esperti che hanno sottolineato come l’elevatissimo numero di decessi già registrati in Italia sia dovuti al COVID sia dovuti ad altre patologie sia particolarmente preoccupante. Queste occorrenze sono da imputarsi evidentemente a gravi deficienze del sistema ed a strutture che devono essere assolutamente ripensate, ristrutturate e riorganizzate.
In particolare Quotidiano Sanità ha di recente ospitato una rubrica denominata “Forum per gli Ospedali” che ha registrato ben 32 interventi/documenti da parte di autorevoli personalità del mondo medico scientifico (numerosi Presidenti di Società Scientifiche, Professori Universitari di Facoltà Mediche, Presidenti/Segretari nazionali dei sindacati medici più rappresentativi, esperti di Sanità, tecnici e funzionari).
Una parte largamente maggioritaria di questi professionisti ha espresso una fortissima domanda di cambiamento nel Sistema Ospedaliero ed una forte necessità di integrazione di questo con il sistema della Medicina Territoriale anche essa da rafforzare con i due settori da non considerare in contrapposizione, che dovranno invece operare in una logica di integrazione dipartimentale. È stata fatta inoltre un’approfondita analisi delle cause che hanno determinato il vero e proprio tracollo delle attività di diagnosi ed assistenza e la debole reazione del nostro Sistema Sanitario nel suo complesso alla pandemia, nonostante l’incredibile abnegazione dimostrata dal personale tutto (medici ed infermieri) fino al sacrificio personale delle numerose vittime cadute durante lo svolgimento del proprio servizio.
Premessa
Prima di passare all’illustrazione dei punti fondamentali che rappresentano le proposte di intervento emerse nel corso di svolgimento del Forum, occorre esplicitare una premessa che è alla base della visione strategica condivisa da tutti i partecipanti. La missione 6 del PNRR si articola testualmente in due componenti:
– M6C1 il rafforzamento dell’assistenza territoriale;
– M6C2 il potenziamento delle strutture sanitarie e delle tecnologie.
La Missione 6 sostanzialmente dichiara implicitamente che il DM 70 è il suo modello di riferimento perché non introduce nessun elemento di sostanziale riforma dello stesso DM 70 e pone in essere una grave sottovalutazione dei problemi legati all’ospedale. La questione ospedale in buona sostanza è trattata come del tutto ancillare rispetto al territorio ed anche gli investimenti strutturali e tecnologici previsti non tengono conto della complessità ed importanza degli ospedali riducendoli a loro volta come struttura e tecnologia applicata.
Si raccomanda quindi al Governo di riconsiderare la questione dell’ospedale valutando oltre i suoi problemi strutturali anche quelli organizzativi e funzionali vale a dire:
• i problemi dello sviluppo della clinica e delle discipline mediche,
• le questioni legate alla complessità della cura,
• i problemi delle organizzazioni delle patologie tempo dipendenti,
• l’inadeguatezza di vecchi parametri organizzativi che ancora oggi sovraintendono l’organizzazione e la classificazione dell’ospedale (bacino d’utenza e posti letto, volumi, tempi di assistenza ecc).
• in ultimo ma non meno importante la necessità di un deciso intervento di riforma del sistema del management generale e della governance complessiva superando il modello attuale monocratico verso un altro improntato a modalità partecipata e decentrata più capace di governare e gestire l’alta complessità che rappresenta la principale caratteristica degli ospedali, come sarà meglio precisato più avanti.
Si raccomanda pertanto al Governo di superare il DM 70 sostituendo questa vecchia normativa con una normativa più moderna e più adeguata alle complessità in gioco ma soprattutto una normativa che restituisca all’ospedale il ruolo che merita e che negli ultimi anni è stato irresponsabilmente impoverito.
Proposte generali
Sulla base di queste analisi sono state finora formulate proposte concrete di carattere generale che si basano essenzialmente su 6 fondamentali punti:
1. un sistema efficiente, efficace e tempestivo sull’attuazione da parte delle Regioni delle misure volte al recupero delle prestazioni, e la realizzazione da parte del Ministero della Salute di linee guida per le Regioni per il recupero delle prestazioni perse e per garantire il doppio registro del SSN (covid e non covid) qualora il prossimo autunno-inverno dovesse ripartire il contagio.
2. Modernizzazione anche strutturale degli Ospedali Italiani, la cui vita media per moltissime strutture ha ben superato ogni limite plausibile, rendendoli spesso inadeguati anche solo ad ospitare le nuove tecnologie.
3. Ammodernamento degli ospedali con l’acquisizione di nuove tecnologie già in parte previste nel piano di finanziamento del PNRR ma di fatto pare soltanto riservate agli IRCCS, ma invece da destinarsi al complesso dei grandi ospedali italiani.
4. Investimento sulle discipline mediche e sul mondo delle professioni. Gli specialisti ospedalieri debbono gradualmente crescere di numero con l’obiettivo di raggiungere gli standard attualmente vigenti negli altri paesi europei e devono essere messi nelle condizioni di sviluppare a pieno le proprie professionalità. Deve essere considerato il valore strategico dell’elemento professionale come fattore produttivo e deve essere attentamente considerata la necessità di sviluppare le discipline mediche dal punto di vista scientifico, organizzativo ed operativo. Da valutare inoltre l’introduzione negli ospedali di nuove figure professionali quali per esempio i case manager, i data manager e gli infermieri di ricerca attualmente non previste nel SSN nonché la rifondazione negli ospedali delle infrastrutture dell’informazione e comunicazione (ICT), attualmente vecchie e di qualità molto scadente.
5. Occorre ripensare l’attuale gestione monocratica delle aziende ospedaliere adottando una gestione partecipata cioè aperta alle ragioni della domanda ed a quelle della professione. L’Ospedale moderno per definizione è una realtà ad alta complessità e l’alta complessità non si governa in modo monocratico ma in modo partecipato, diffuso e decentrato e bisogna entrare nella logica più moderna di considerare le professioni e le discipline mediche come parte fondamentale della governance del sistema che non può prescindere quindi dal contributo diretto della dirigenza medica.
6. In buona sostanza si è assolutamente contrari alla concezione di Ospedale minimo “di prossimità” (definito nel PNRR “ospedale di comunità”, da realizzare ogni 160.000 abitanti circa, per un totale di 381 strutture), e tantomeno alla loro gestione delegata agli infermieri; una concezione obsoleta, eccessivamente semplificante ma soprattutto inadeguata a far fronte alle tante e diverse complessità poste in essere dalle domande di salute della medicina moderna. L’ ospedale, come servizio non è più disposto ad essere considerato al “minimo” delle sue possibilità ma deve essere rivalutato e riorganizzato ma anche ripensato e strutturato come funzionalmente operativo per corrispondere a tutte le esigenze, che se soddisfatte danno garanzia di raggiungimento dei migliori risultati di salute consentiti dallo sviluppo ed applicazione delle conoscenze scientifiche.
È emersa quindi l’esigenza largamente condivisa di riformare profondamente il DM 70 ed abbandonare tutte le politiche di deospedalizzazione che purtroppo hanno riguardato il settore negli ultimi 40 anni.
Dettaglio degli interventi
Dai contributi prodotti, a parte i sei punti generali sopra menzionati, si riscontra la necessità di mettere mano ai seguenti provvedimenti più specifici:
– La revisione del numero chiuso all’accesso delle Facoltà di Medicina, provvedimento intrapreso molti anni fa che ha portato alle conseguenze catastrofiche cui oggi assistiamo, revisione che presupporrà anche un adeguamento delle strutture universitarie e del numero dei docenti dedicati. Oltretutto dei 9-10.000 laureati che ogni anno vengono sfornati dalle nostre Università, una percentuale consistente si trasferisce all’estero evidentemente perché giudica non pienamente soddisfacenti le condizioni di lavoro poste in essere nel nostro Paese, ed altrettanto succede con i giovani specialisti.
Il fabbisogno di nuovi medici specialisti, anestesisti, intensivisti, internisti, cardiologi, oncologi, ematologi, reumatologi ed in generale specialisti di tutte le malattie croniche più rilevanti dovrà essere attentamente valutato secondo criteri minori e maggiormente aderenti alla reale situazione sanitaria del Paese. Nelle fasi iniziali il fabbisogno potrà essere con urgenza soddisfatto anche attraverso il reclutamento con contratti a tempo indeterminato derivanti in primis dall’utilizzo delle graduatorie ancora aperte dei concorsi pubblici già espletati e ove si renda necessario, anche attraverso procedure selettive di massima celerità. Dovrà essere previsto al fine di evitare carenze di questi specialisti in aree determinate del Paese il blocco temporaneo delle mobilità interregionali.
Viene visto con estremo favore l’introduzione di un numero, più consistente rispetto a quanto già previsto, di Borse di Studio per nuovi specializzandi soprattutto nelle specialità in particolare sofferenza di medici specialisti. Meno opportuno è parso l’aumento di borse di studio in alcune discipline, che in alcuni casi si ritiene eccedente i prossimi fabbisogni. Si esprimono invece forti perplessità sulle assunzioni di medici specializzandi – a maggior ragione nel caso di contratti di lavoro di tipo “libero professionale” – prima del termine del terzo anno di formazione nel caso di durata della scuola di specializzazione di 5 anni, come purtroppo è già avvenuto nei mesi scorsi a causa delle gravi carenze di specialisti in alcuni settori. Ciò sia per le inevitabili interferenze con l’iter formativo, sia per le ricadute sui livelli qualitativi delle prestazioni professionali ad essi assegnate, rese da questi specializzandi non ancora pienamente formati. In particolare per la carenza di Medici specialisti nei Pronto Soccorsi (problema che coinvolge specificatamente la formazione specialistica MEU) occorre urgentemente individuare ed adottare soluzioni dedicate e condivise che ne evitino l’ormai imminente collasso, nella speranza che sul versante dei fabbisogni ARTID il problema delle carenze di specialisti non si aggravi altrettanto nell’immediato futuro.
L’aumento delle borse di specializzazione si avvia quindi finalmente da quest’anno a colmare, il gap tra medici laureati e posti in specializzazione, ma come sopra rappresentato rimane non ancora risolto il problema del basso numero dei laureati in medicina. Anche il numero degli infermieri inoltre è molto sotto soglia, quindi serve un investimento in questo senso; inoltre è stato stanziato un fondo per l’assunzione delle figure degli infermieri di famiglia sul territorio, una nuova figura assistenziale. Quindi è importante la formazione e la gestione delle risorse umane. Ma soprattutto è prioritario, perché questa grande azione di reclutamento di nuove risorse professionali abbia successo, creare opportunità diverse e più interessanti per i nuovi laureati e per gli specialisti perlomeno simili a quelle offerte da altri Paesi Europei, ciò per arrestare il consistente esodo attualmente in atto da parte dei giovani medici italiani ed eventualmente anche attrarre giovani laureati provenienti da Paesi esteri. Prendiamo atto inoltre delle rassicuranti dichiarazioni che il Ministro Speranza ha recentemente rilasciato “sulla necessaria chiusura della stagione dei tagli alla Sanità, nella quale ogni Euro impiegato non è semplice spesa pubblica ma il più grande investimento sulla qualità della vita delle persone”. Siamo certi, conoscendo l’onestà intellettuale del Ministro, che alle parole seguiranno i fatti.
– Ove il quadro epidemiologico dovesse vieppiù peggiorare a causa della maggior diffusione delle varianti si dovrà provvedere ad una netta separazione fra ospedali, ambiti di cura e assistenza per pazienti Covid e quelli per pazienti non Covid, intervento reso più agevole dal più basso numero di ricoveri registrati per effetto delle vaccinazioni. Si richiede quindi una netta separazione dei due diversi percorsi che preveda anche la separazione di tutto il personale dedicato e dei relativi servizi ospedalieri. A questo riguardo è davvero paradossale la circostanza che si sta realizzando nel nostro Paese con l’estensione del Green Pass obbligatorio praticamente a tutte le categorie professionali ed in tutti gli ambiti di lavoro con eccezione dei soli Ospedali, che dovrebbero essere luoghi da preservare prioritariamente dai contagi. Gli Ospedali infatti a causa della mancata sospensione dal servizio di quasi tutti i lavoratori non vaccinati (medici, infermieri, altri) per una legge inapplicabile e quindi largamente inapplicata rimangono luoghi ancora a rischio, in cui non infrequentemente si verifica, ancora oggi dopo un anno e mezzo di pandemia, l’esplosione di clusters di contagi. Inoltre i posti letto aggiunti almeno sulla carta in terapia intensiva durante la pandemia (3500), a fine emergenza dovranno essere allocati in spazi appositi e aperti in caso di necessità e nuove emergenze sanitarie, come letti aggiuntivi.
– Tutte le strutture di oncologia medica (degenze ordinarie e day hospital), di cardiologia (degenze cardiologiche e unità di terapie intensive cardiologiche) di ematologia (degenze ordinarie, day hospital, degenze per trapianto di midollo) di Medicina Interna e di area medica in genere per l’assistenza alle malattie croniche, devono rimanere pienamente operative anche a livello ambulatoriale, al fine di svolgere tempestivamente ed efficacemente attività di diagnosi e cura ed anche di garantire la prevenzione terziaria oncologica e cardiovascolare. Va preservata la rete dell’emergenza cardiologica. Le attività di chirurgia oncologica devono essere garantite e devono avere priorità assoluta e bisogna recuperare tutto il pregresso degli interventi oncologici non ancora eseguiti e ripristinare nell’immediato la regolarità delle attività di chirurgia di elezione almeno nelle patologie a più elevato rischio di mortalità.
Il concetto è che bisogna predisporre strutture ospedaliere modulari e “duttili” che siano in grado di affrontare l’emergenza infettiva/pandemica senza però penalizzare il resto della popolazione dei pazienti acuti e cronici.
– Gli screening oncologici devono ripartire immediatamente ed a pieno regime in tutte le Regioni. Bisogna con urgenza verificare in ogni singola Regione l’entità degli scostamenti registrati rispetto all’epoca pre-Covid e il livello dei recuperi eventualmente realizzati.
– E’ da rifondare completamente la Medicina Territoriale attraverso la istituzione di grandi strutture ad hoc ambulatoriali e residenziali, queste sì certamente altamente auspicabili, atte a svolgere funzioni attualmente svolte impropriamente dagli ospedali, quali: le attività di screening, di follow up e riabilitazione dei pazienti, di assistenza domiciliare e cure palliative ecc… Tali attività dovranno essere condotte in forme di collaborazione strutturata tra i medici di medicina generale, che saranno dotati di strumenti e personale adeguati e gli specialisti ospedalieri e universitari, collaborazione preceduta dalla istituzione di tavoli per proposte operative con idee bottom-up ed anche con le organizzazioni no profit del settore.
– Attivazione e diffusione su tutto il territorio nazionale di programmi avanzati e strutturati di telemedicina con previsione dei costi di sviluppo e gestione ed emanazione di norme specifiche che li regolino, anche a tutela dei medici coinvolti in queste attività. Tali programmi sono da sviluppare sia in ambito ospedaliero che a livello della medicina del territorio ma non potranno prescindere dalla periodica osservazione in presenza dei pazienti da parte dei medici di medicina generale e degli specialisti.
– Avviare procedure velocissime di acquisizione di nuovi ulteriori ingenti fondi per la Sanità, immediatamente fruibili che compensino anche se parzialmente il gap attualmente esistente con gli altri Paesi Europei e mettano in grado il nostro Paese di affrontare l’emergenza in atto ed il nuovo sviluppo della Sanità Nazionale. Importante sarà appianare le differenze tuttora esistenti nel regime assistenziale tra Nord e Sud, per permettere la crescita dell’intero SSN. E’ evidente infatti che in una situazione del genere le Regioni del Sud risultino più svantaggiate e non possano offrire servizi adeguati ai pazienti.
Il PNRR è importante ma il finanziamento stabile e adeguato a lungo termine per le spese correnti è la sfida per il futuro.
– Il primo obiettivo nell’immediato è quindi favorire l’immediato ritorno alla normalità con campagne di informazione organizzate a livello istituzionale e dalle organizzazioni no profit che possano tranquillizzare i cittadini sulla sicurezza degli ospedali, totalmente Covid free, insistendo sulla necessità che i pazienti non si limitino al “fai da te”, ma seguano scrupolosamente le indicazioni dei medici. Va favorito quindi un accesso e un ritorno al rapporto con lo specialista di tutti i pazienti, soprattutto colpiti da patologie croniche, favorendo la corretta adesione alle terapie. Va avviata una attività straordinaria di informazione e comunicazione per il recupero dei ritardi accumulati negli screening, nelle visite programmate, in quelle di follow-up e negli interventi chirurgici.
Forum Permanente sul Sistema Sanitario Nazionale nel post-Covid
Giordano Beretta (Presidente Associazione Italiana di Oncologia Medica, AIOM)
Ivan Cavicchi (Docente di Sociologia dell’Organizzazione Sanitaria e di Filosofia della Medicina)
Francesco Cognetti (Coordinatore del Forum e Presidente Fondazione Insieme contro il Cancro)
Paolo Corradini (Presidente Società Italiana di Ematologia, SIE)
Roberto Gerli (Presidente Società Italiana di Reumatologia, SIR)
Ciro Indolfi (Presidente Società Italiana di Cardiologia, SIC)
Dario Manfellotto (Presidente Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti, FADOI)
Pierluigi Marini (Presidente Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani, ACOI)
Vincenzo Mirone (Past President Società Italiana di Urologia, SIU)
Giovanni Muriana (Presidente Società Italiana di Chirurgia Toracica, SICT)
Fabrizio Pane (Professore Ordinario di Ematologia, Università Federico II di Napoli)
Flavia Petrini (Presidente Società Italiana Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva, SIAARTI)
Francesco Romeo (Presidente ‘Il cuore Siamo Noi – Fondazione Italiana Cuore e Circolazione’)
Gioacchino Tedeschi (Presidente Società Italiana di Neurologia, SIN)
Alessandro Vergallo (Presidente Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani Emergenza Area Critica, AAROI – EMAC)