Aifa: l’uso dei farmaci nella popolazione anziana, molte le inappropriatezze su cui operare

l’Agenzia Italiana del Farmaco ha presentato il primo Rapporto Nazionale “L’uso dei farmaci nella popolazione anziana in Italia” (Anno 2019), realizzato dall’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) con il coordinamento dell’AIFA e dell’Istituto Superiore di Sanità.
Il Rapporto descrive le caratteristiche della prescrizione farmaceutica nella popolazione ultrasessantacinquenne e analizza in dettaglio alcuni aspetti legati all’uso dei farmaci negli anziani in tre diversi setting assistenziali: domicilio (prescrizione territoriale), ospedale e Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA).

«È un nuovo capitolo della collana OsMed, che conferma e amplia la collaborazione tra AIFA e altre istituzioni nazionali e locali e ricercatori, già avviata con i precedenti volumi tematici dedicati ad antibiotici e gravidanza – ha affermato Nicola Magrini, Direttore Generale dell’AIFA, introducendo i lavori –L’analisi su flussi di dati provenienti da fonti diverse ci ha consentito di porre l’attenzione su alcuni contesti  particolari del consumo dei farmaci nella popolazione anziana, quali l’ambito ospedaliero e quello finora poco esplorato delle residenze sanitarie assistenziali, che è stato pesantemente colpito dalla pandemia da COVID-19.
Tra i principali risultati emersi
– ha aggiunto Magrini – riscontriamo un sovrautilizzo della vitamina D non sostenuto da evidenze, l’uso inappropriato di antibiotici e di alcuni antiaritmici nel grande anziano, alcune possibili interazioni tra farmaci della coagulazione usati spesso in associazione, come FANS, anticoagulanti e antiaggreganti».

«Questo nuovo Rapporto, centrato sul consumo dei farmaci negli anziani, rappresenta uno strumento prezioso per promuovere interventi e progetti mirati a migliorare la qualità e la sicurezza dell’uso del farmaco in questa popolazione – ha dichiarato Silvio Brusaferro, Presidente dell’ISS – Si stima, infatti, che un terzo degli over 65enni utilizzi 10 o più farmaci contemporaneamente. Questo rapporto aiuta a comprendere diversi aspetti di questo fenomeno individuando nella deprescrizione farmacologica, ovvero nella riduzione del numero dei principi attivi prescritti, una risposta mirata per garantire una maggior sicurezza e appropriatezza delle cure. Non sempre, infatti, la prescrizione di un numero elevato di farmaci – ha concluso Brusaferro – corrisponde alle migliori cure o a più salute».

Il Rapporto in sintesi

Nel corso del 2019 la quasi totalità della popolazione ultrasessantacinquenne ha ricevuto almeno una prescrizione farmaceutica (98%), con lievi differenze tra aree geografiche, con consumi giornalieri pari a tre dosi per ciascun cittadino e una spesa pro capite annua di circa 660 euro. Sia a livello nazionale che regionale gli uomini mostrano un consumo superiore a quello delle donne, in tutte le classi di età. Per quasi tutte le categorie terapeutiche il consumo dei farmaci aumenta con l’età fino agli 84 anni, per poi diminuire nelle classi successive (“healthy survivor effect”). Nel 2019 i farmaci del sistema cardiovascolare, in particolare gli antipertensivi, sono stati tra quelli a maggiore prescrizione, mentre metà della popolazione ha ricevuto farmaci antibiotici o gastroprotettori. Tra le Regioni non si notano forti differenze per quanto riguarda la prevalenza d’uso e il costo medio per giornata di terapia; tuttavia, analizzando i dati in termini di consumo e di spesa, emerge un marcato gradiente territoriale Nord-Sud, con una differenza che raggiunge il 44% in termini di consumo e il 92% per la spesa.

Uso concomitante di farmaci in persone con patologie croniche

Come già accennato, nella popolazione anziana le comorbilità portano, di frequente, a trattamenti concomitanti che non sempre vengono monitorati in modo adeguato. In questo Rapporto è descritto l’uso concomitante di alcuni farmaci “patologia-specifici”, così da permettere un’identificazione certa dei pazienti affetti dalla patologia in esame. Nel dettaglio è stato analizzato il pattern prescrittivo dei soggetti in trattamento con farmaci antidiabetici, antidemenza, per la BPCO e per il morbo di Parkinson. Le categorie di farmaci più utilizzate nei pazienti in trattamento con farmaci per il diabete e la BPCO rispecchiano le principali comorbilità e/o complicanze associate a tali patologie, mentre nei soggetti in trattamento con farmaci antidemenza e con anti Parkinson è stato rilevato un potenziale uso inappropriato di alcuni farmaci in associazione, principalmente antipsicotici, che non portano a un reale beneficio clinico per il paziente.

Utilizzo dei farmaci nella popolazione ultranovantenne

Gli ultranovantenni rappresentano un segmento crescente della popolazione italiana, tuttavia le evidenze circa i trattamenti farmacologici che li riguardano sono piuttosto esigue o discordanti. In Italia negli ultimi 3 anni il consumo di farmaci e la spesa pro capite in questa popolazione sono progressivamente aumentati. Le categorie terapeutiche più utilizzate sono state gli antipertensivi, gli antiaggreganti, i farmaci per l’ulcera peptica e malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) e gli ipolipemizzanti. Nonostante il numero dei farmaci utilizzati risulti comunque inferiore rispetto alle classi di età inferiori, è importante sottolineare come vi sia un significativo utilizzo di farmaci, tra cui gli ipolipemizzanti e gli anti-osteoporotici, non supportato da una reale esigenza terapeutica.

Politerapia, interazioni farmacologiche e farmaci potenzialmente inappropriati

È noto che la politerapia, definita come l’utilizzo contemporaneo di più medicinali, è associata a una riduzione dell’aderenza al trattamento farmacologico nonché a un aumento del rischio di interazioni tra farmaci. Tale comportamento necessita pertanto di particolare attenzione soprattutto perché, a livello nazionale, il 29,0% degli uomini e il 30,3% delle donne di età ≥65 anni utilizzano 10 o più sostanze contemporaneamente. In questo Rapporto sono stati quindi valutati diversi tipi di associazioni di farmaci potenzialmente responsabili di interazioni farmacologiche anche severe, o potenzialmente inappropriate in questa popolazione per rapporto rischio/beneficio sfavorevole. Ad esempio, l’uso concomitante di 2 o più farmaci che aumentano il rischio di sanguinamento gastrointestinale è pari al 6,6%, con una più alta prevalenza al Sud (11,0%), rispetto al Centro (7,1%) e al Nord (3,6%). Valori di prevalenza d’uso pari al 9,5%, che risultano maggiori al Sud (15,3%) e nella popolazione femminile (10,4%) sono stati riscontrati anche per i farmaci la cui assunzione contemporanea aumenta il rischio di insufficienza renale. L’1,06% della popolazione anziana utilizza gli antidepressivi triciclici con una prevalenza d’uso doppia nelle donne rispetto agli uomini (1,40% vs 0,62%). È doveroso sottolineare come l’azione anticolinergica di questi farmaci possa causare importanti effetti collaterali cognitivi, cardiaci, neurologici e urinari. Considerata la carenza di evidenze circa le politerapie o le interazioni tra farmaci nella normale pratica clinica, queste analisi possono costituire un primo step per pianificare un monitoraggio periodico della qualità dell’utilizzo a livello nazionale.

Deprescrizione farmacologica (Deprescribing)

Il processo sistematico di identificazione e “discontinuazione” di farmaci in circostanze in cui evidenti o potenziali effetti negativi superino i benefici è detto deprescribing e trova la sua collocazione nell’ambito di una “medicina personalizzata” dove è necessario tener conto di un contesto complesso, caratteristico dei pazienti anziani. Anche in questo caso le evidenze disponibili sono piuttosto esigue, tuttavia, in questo Rapporto vengono presentate e analizzate alcune esperienze locali (anche in real-life), svolte anche in contesti in cui il carico farmacologico sugli assistiti è elevato (RSA e ospedale). Nel complesso i dati presentati sottolineano non solo che la deprescrizione farmacologica è possibile, ma addirittura auspicabile laddove la terapia farmacologica non apporti benefici o comporti dei rischi per il paziente. Ci sono pertanto validi elementi che indicano come tale strategia, in futuro, dovrà essere maggiormente implementata soprattutto tramite approcci integrati tra le diverse figure socioassistenziali.

Utilizzo dei farmaci nella prevenzione secondaria in Medicina Generale

Il trattamento farmacologico, in particolare nella popolazione anziana, spesso riguarda la prevenzione secondaria delle malattie croniche al fine di ridurne le complicanze. Per tale motivo una sezione del Rapporto è dedicata all’analisi, nell’ambito della Medicina Generale, dell’utilizzo di: farmaci anti-osteoporotici in pazienti con pregressa frattura (vertebrale o di femore), utilizzati allo scopo di prevenire nuovi eventi; anticoagulanti orali in pazienti affetti da fibrillazione atriale per la riduzione del rischio di complicanze tromboemboliche (ictus o embolie periferiche); antiaggreganti, betabloccanti, statine, ASA, ACE-inibitori/sartani nel post-infarto, per diminuire il rischio di nuovi eventi ischemici cardiaci. I principali risultati hanno mostrato che 3 anziani su 4 con pregressa frattura vertebrale o di femore non ricevevano alcun trattamento con farmaci anti-osteoporotici. Va sottolineato che alcuni farmaci (ad es. denosumab) non sono prescrivibili dal Medico di Medicina Generale (MMG). Oltre un quarto degli anziani affetti da fibrillazione atriale con pregresso ictus non era in trattamento con farmaci anticoagulanti orali, mentre i farmaci per la prevenzione secondaria nel post-infarto sembravano comunemente utilizzati nella popolazione anziana. Infatti, la maggior parte degli assistiti risultava in trattamento con tre (30,1%) o quattro (37,8%) delle categorie considerate.

Impatto della pandemia da COVID-19 sull’utilizzo di farmaci per le patologie croniche

Le conseguenze in termini di ospedalizzazione e mortalità durante le prime fasi della pandemia da COVID-19 sono state devastanti per gli anziani. Il 91% dei decessi, infatti, ha riguardato i soggetti con età superiore a 65 anni. Inoltre, durante i periodi di lockdown, non è stato possibile eseguire prime visite o controlli per diverse patologie croniche. In una sezione del Rapporto viene quindi analizzato il consumo di farmaci, in particolare per il trattamento delle patologie croniche, nel 2020, confrontato con i dati dell’anno precedente. Nello specifico è stato osservato un decremento del consumo degli antibiotici e dei FANS, attribuibile alla riduzione della trasmissione di patologie infettive delle alte e basse vie respiratorie grazie all’adozione di norme igieniche finalizzate a contenere la diffusione dell’infezione da COVID-19. Al contrario, la categoria degli anticoagulanti è quella che ha subito il maggiore incremento durante il periodo pandemico ed è probabilmente il risultato dell’aumento di prescrizioni per eventi tromboembolici COVID-19 correlati o per la loro profilassi. In termini di prevalenza di utilizzo il decremento maggiore sembra osservarsi nelle fasce di età molto avanzate. Tale dato sottolinea come la popolazione più anziana possa avere avuto maggiore difficoltà ad accedere alle cure senza escludere l’impatto delle ospedalizzazioni e mortalità legate al COVID-19 osservate nella fascia di età degli ultraottantenni. Al contrario le nuove prescrizioni (incidenti) hanno subito una contrazione maggiore nelle fasce di età più giovani (in particolare 65-69 anni). In quest’ultimo caso potrebbe avere influito la maggiore difficoltà di accesso ai centri per le diagnosi.

L’utilizzo dei farmaci in ospedale. Il Registro REPOSI

Il contesto dei reparti di Medicina Interna e Geriatria costituisce un osservatorio importante per descrivere l’impiego di farmaci dal momento del ricovero alla dimissione e identificare specifiche tipologie di pazienti e il relativo pattern prescrittivo. Dal campione di soggetti inclusi nel Registro Reposi, riferito al periodo 2017-2019, sono emerse diverse criticità correlate all’uso dei farmaci nel setting ospedaliero. Prima tra tutte l’elevato uso di farmaci, e quindi di politerapia, sia durante la degenza che alla dimissione. Nel dettaglio è stato rilevato un incremento del 7,5% tra ingresso e dimissione delle associazioni di farmaci che possono provocare un allungamento dell’intervallo QT, oppure un aumento del carico anticolinergico con incremento del rischio di vertigini, sincope, letargia, irritabilità, discinesie, ma anche insonnia, stato confusionale, deterioramento cognitivo e perdita di autonomia. Dall’analisi è stato inoltre rilevato che il 3% dei soggetti assumono tre o più psicofarmaci, anch’essi responsabili di disturbi cognitivi. Emerge inoltre come in gran parte dei casi il ricovero non costituisca ancora un contesto clinico per le attività di riconciliazione, revisione terapeutica e deprescribing dei farmaci e di come sia quindi opportuno impostare specifiche azioni al fine di promuoverne, standardizzarne e implementarne l’esecuzione.

Utilizzo dei farmaci nelle RSA

Un ampio carico farmacologico è emerso dall’analisi dei dati che, per la prima volta, hanno descritto l’utilizzo dei farmaci in un campione di residenti in RSA. Nel 2019 la spesa totale per i farmaci erogati dalle strutture residenziali delle 5 Regioni considerate (PA di Bolzano, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Umbria) è stata di oltre 25 milioni di euro, in riduzione dell’1,4% rispetto all’anno precedente, con una spesa di 1,30 euro per giornata di degenza e un costo per posto letto di 436,18 euro. Analizzando i consumi si evidenzia un valore di 2.855 DDD per posto letto, pari a circa 798 DDD/100 giornate di degenza e un costo medio DDD di 0,16 euro. Tra le sostanze di più comune utilizzo nella popolazione analizzata, oltre ai farmaci cardiovascolari (36,5% dei consumi) figurano gli psicotropi (benzodiazepine, antidepressivi e antipsicotici). Nel dettaglio le benzodiazepine hanno registrato valori di 37,6 DDD/100 giornate di degenza e di 116,4 DDD/posto letto, mentre gli antidepressivi di 35,9 DDD/100 giornate di degenza e 111,2 DDD/posto letto. Nonostante la comune presenza di disturbi neuro-psichiatrici negli anziani istituzionalizzati, va comunque sottolineato che l’uso di questi farmaci è spesso associato a importanti eventi avversi e quindi inappropriato. È apparsa evidente, inoltre, la notevole differenza nell’utilizzo di farmaci tra le varie Regioni considerate, verosimilmente dovuta al diverso case-mix (diverse caratteristiche) dei residenti nelle Regioni analizzate.

IL RAPPORTO COMPLETO

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